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Ma il Baffo, re delle televendite, ha mai preso fregature da un venditore?
«Può dirlo forte. Avevo puntato una Porsche del 1984, vintage, una cannonata. Un’ora dopo averla pagata sono in autostrada sulla Milano-Brescia e resto a piedi: rotto il cambio».

E poi?
«Il guasto mi è costato 8 mila euro, la macchina l’avevo pagata 16 mila».

Scusi, ma non aveva una garanzia?
«Il concessionario l’ha tirata lunga, la bidonata è di qualche anno fa e ormai sono rassegnato: ’sti soldi non li vedo più».

Che smacco. Lui, Roberto Da Crema, alias il Baffo (adesso ha anche la barba), 71 anni, nato a Pioltello dove ancora oggi vive (quando non sverna a Lampedusa), sa comunque di avere dalla sua «una lunghissima serie di affari ben fatti e clienti soddisfatti». E una carriera che, proprio nel 2024, gira la boa dei 40 anni. «Ho piazzato 600 mila forni, 400 mila scale. In tv facevo 50, 60 mila vendite al mese. Gli orologi Watch che richiamavano gli Swatch: 1,7 milioni di pezzi acquistati». Si guarda intorno. «E chi avrebbe mai detto che sarei arrivato anche qui…». Qui, nel caso specifico, è lo store di Verano Brianza in cui dà appuntamento al Corriere. Per la cronaca: l’intervista si svolgerà tra le sedie «super affare» e sarà costantemente – educatamente – interrotta da scambi con i clienti che, chi timido chi meno, si fanno avanti: «Sei proprio tu, Baffo?». «Vengo nei negozi quando i miei manager sono tristi o vanno motivati – racconta lui -. Nelle ore di punta mi avvicinano anche cinque, sei persone alla volta: diventa impegnativo».

Insomma, una star.
«Ho la mia notorietà».

Distribuisce autografi?
«Quelli no».

Ha paura che firmando le vendano un’enciclopedia?
«No comment. Selfie, invece, quanti ne volete».

Voce alle spalle: «A proposito, posso chiederle anche io una foto?». È un quarantenne con figlio in braccio. Replica il Baffo: «Sicuro. Ma il bambino dove lo mette, nel carrello?». «Poi lei me lo vende!». Risate. Clic.

Tornando alla location. Nei circa 2 mila metri quadrati del negozio sono stipati oggetti di ogni genere – coltelli e caschi, alimentari e pigiami, trapunte e decespugliatori, quaderni e ombrelloni – a prezzi scontatissimi: «Alcune società editoriali si fanno pagare la pubblicità parte in denaro e parte in cambio merce. Io compro quella merce e la rivendo. Se si guarda intorno vedrà non scaffali ma quasi solo bancali». Implicito messaggio visivo di colui che la sa talmente lunga da essere stato chiamato nelle università a parlare di marketing: comprate perché la roba starà qui poco. Verano Brianza è uno dei cinque Pubblistore, attuali reami del Baffo che – a scanso di equivoci – si è fatto ritrarre anche nel logo: sedi a Lodi, Voghera, Legnano e, appena aperto, Brescia. «Ora sono i clienti a venire da me. Dopo il processo avevo deciso che non avrei fatto più televendite, non ce la facevo».

E poi cosa è successo?
«Nel 2013 mi chiama un manager, amico, di Publitalia: abbiamo un sacco di roba dal cambio merci, la vuoi tu? Penso: torno in pista, è ora. Io non avevo il magazzino però sapevo che a Busnago un negozio cinese aveva appena disdetto l’affitto. Erano 300 metri quadri, in due giorni ho messo quattro lampadine, è arrivato il camion. Bancali ovunque, dentro alle scatole abiti di almeno dieci anni. Camicie con il collo a punta, capisce? Chi le poteva volere? Ho avuto un’idea».

Sentiamo.
«Ho usato uno spazio notturno su Telelombardia: dove le trovate più le camicie con i becchiiiii! Solo qui! (Nella concitazione, esce la stra-nota voce asmatica, ndr). La mattina dell’inaugurazione c’era la coda. All’inizio fatturavamo 70-80 mila euro».

Adesso quando fatturate?
«In un anno 20 milioni. I dipendenti sono 68. I metri quadrati di vendita complessivi quasi 7 mila, negli store abbiamo 432 mila tesserati».

Lei è presidente della società?
«Addetto al marketing. Mio figlio Moris, 49 anni, guida la logistica e mia figlia Valentina, 47, segue il personale ed è l’ad. Io faccio il testimonial: di notte sulle emittenti locali mostro la merce (qualche giorno fa a Brescia si è issato con i prodotti su un cordolo della provinciale: nelle riprese è tutto un clacson e “mitico Baffo” ndr)».

È tornato al suo elemento.
«Sogno un reality nel negozio. Starei qui anche a dormire. Magari me lo propongono..».

Dama in giacchetta rossa: «Signor Roberto, posso interromperla? Lei per caso vive a Lampedusa?». Lui non si nega: «Sì, faccio quindici giorni qui e quindici giorni sull’isola: ho lasciato Ibiza per Lampedusa, sa che la casa l’ho comprata da un’immobiliare di Brugherio?». «Ma no! Anche io! Infatti mi sembrava di averla vista in giro sull’isola». Baci, baci, foto.

Quarant’anni dalla prima televendita. Come ha cominciato?
«Io sono nato a Pioltello ma la mia famiglia è contadina dell’Oltrepò pavese, di San Damiano al Colle. Papà Diego faceva anche i mercati, mamma Anna vendeva bottoni. A papà un giorno proposero lo stock di detersivo Omino Bianco da piazzare porta a porta. Io avevo sei-sette anni e andavo con lui sulla Fiat 600 Multipla, già rompevo le balle».

Ci faccia immaginare…
«Vendiamoli tutti, ‘sti flaconi! Nel weekend commerciava il vino del nonno, metteva le damigiane sul tetto della macchina. Al Ponte della Becca ci fermano i carabinieri: è pericolosissimo! Io metto su una faccia piagnona: papà cerca di darci da mangiare e cerca di vendere di più, lo ha fatto solo questa volta. Ci hanno lasciato andare via. La settimana dopo però ci fermano ancora, stessa pattuglia. Il carabiniere mi fulmina: meglio se non dici niente…».

Gavetta e faccia tosta.
«Ho la licenza media. Dopo le scuole ho fatto l’elettricista, poi mi hanno preso in un’azienda chimica. A 19 anni l’annuncio-folgorazione: nota multinazionale ti dà possibilità eccezionali. Era Electrolux. Chiamo, penso di arrivare in un ufficio invece mi convocano davanti a un agglomerato di palazzi di Brugherio: questo sarà il tuo regno. Porta a porta, vendevo aspirapolveri che diventavano compressori. Suonando i citofoni si piazzavano cinque-sei pezzi al mese, a me restava un milione di lire. Finché ne ho escogitata una delle mie».

Eccoci.
«Ho preso una roulotte, l’ho agganciata alla mia Citroën Squalo e mi sono messo a battere le Feste dell’Unità. Le vendite impennano a 30-40 al mese, 8 milioni di lire per me. Gli ispettori dell’azienda non capivano. Poi hanno visto a Melzo la roulotte. Lì Electrolux ha istituito il Team Fiere».

Ci è entrato?
«No, me ne sono andato. Perché quegli elettrodomestici erano cari. Ho investito i guadagni facendone produrre uno mio, il Dabi. Andava via come il pane».

La tv quando è arrivata?
«Sono passato a promuovere idromassaggi. Il mio era uno scatolotto. Ero a Cremona in un centro commerciale, una signora ne acquista uno per 500 mila lire. Il giorno dopo arriva il marito: come l’ha convinta, che noi a casa abbiamo la Jacuzzi? Semplice: sostenendo che il mio era portatile, adatto per le case di villeggiatura. Quell’uomo era il dottor Baronio, proprietario di Telecolor: mi ha dato immediatamente uno spazio televisivo per vendere».

E fu così che Roberto Da Crema conobbe la telecamera.
«Lo studio era un garage, non c’era nemmeno l’acqua per le dimostrazioni. Ho passato 12 minuti non guardando in camera ma a raccontare il prodotto alla signora delle pulizie, la Sciura Maria».

Quella dei tormentoni? È vera?
«Una persona in carne e ossa, in studio con noi. Nella mia prima televendita io in verità parlavo a lei: avevo bisogno di un cliente vero. Da 4-5 pezzi al mese sono passato a 27 in 12 minuti. Sei milioni di lire in 12 minuti: stavo per svenire».

Sono arrivati i clienti vip.
«Loredana Bertè da me comprava le pentole, di Vittorio Cerea, patriarca della famiglia di chef, ero amico e anche lui voleva il mio Watch. Ho conosciuto Silvio Berlusconi a San Siro nel ’94, me l’ha presentato Sgarbi: “Cribbio, io per vendere dovrei prendere lezioni da lei!”. Antonio Ricci ha comprato un fornetto: è stata l’occasione per parlare, io penso sia un vero guru».

Tra gli espositori si aggira una famigliola. Questa volta è Roberto ad alzarsi – «Scusi sa, devo dedicarmi ai clienti sennò scappano». Dunque, punta il gruppo. «Signori, vediamo il carrello… Ma è ancora vuoto!». Loro ridono. Il Baffo porge ai bambini un flacone di bolle di sapone. «Offro io». Poi, a favore di taccuino: «Non è che lo faccio solo ora perché c’è lei. Lo faccio sempre».

Il momento più brutto della sua carriera?
«Anche della vita: senza dubbio l’arresto».

Nel 2003.
«Ero a Radio Italia. Sembrava un film, sotto arrivano sei pattuglie della polizia. Scendo e mi dicono: siamo qui per te».

Accusato di bancarotta fraudolenta.
«E condannato con attenuanti. Ho scontato un anno e otto mesi con la condizionale, pagato una multa da 650 mila euro. Ho sbagliato, anche molto, e lo ammetto».

Un’altra volta ha preso una multa colossale: mille miliardi di lire.
«Per aver violato le norme sul diritto di recesso per le vendite a distanza: l’avviso andava fuori dai pacchi ma anche dentro. Hanno moltiplicato la sanzione teorica per numero di pacchi ed è uscita quella cifra, l’equivalente di mezzo miliardo di euro. Si disse subito che era sproporzionata rispetto al capitale dell’azienda, venne ricalcolata. Alla fine ho pagato alcune migliaia di euro».

Quanto è stato in carcere per le accuse del 2003?
«Sette giorni, a San Vittore, con mio figlio Moris. Piangevo continuamente. Pensavo che lì dentro sarei morto: dove sono finito, perché? Il senso di vergogna era un macigno. È saltato fuori che anche in carcere mi conoscevano, ricevevo inviti a pranzo. C’era un detenuto che scontava l’ergastolo, le guardie mi chiamano: vorrebbe chiacchierare un po’ con te, sei famoso».

Poi è uscito.
«I taxi fuori da San Vittore facevano a gara per raccattarmi. Il mondo andava avanti. Il giorno dopo la scarcerazione mi chiama Lele Mora».

Per?
«Mi voleva per un’ospitata in discoteca a Brescia. Gli ho chiesto se fosse pazzo. Alla fine ho accettato: dovevo lavorare. In macchina eravamo io e Platinette. Platinette scende dall’auto con le guardie del corpo, io nemmeno sapevo dove andare, temevo mi tirassero i pomodori».

E?
«La gente è stata anche troppo affettuosa con me. Quegli anni sono stati durissimi: fuori non potevo far vedere che ero distrutto, dovevo essere lo schiacciasassi per la televisione, per i miei figli. In realtà dentro morivo, oggi lo posso raccontare».

Si vergognava per la condanna?
«Stavo sveglio di notte, perdevo peso, pensavo solo a come avrei ritrovato la fiducia della gente. Fissavo un pc che nemmeno sapevo accendere: come mi rimetto in gioco? Sono credente ma non praticante, eppure l’unico posto dove mi sentivo di andare era il Santuario di Caravaggio. Stavo lì ore e ore. Ci vado anche adesso».

Solo una questione di fiducia del pubblico o anche economica?
«Con i soldi che avevo ho pagato la multa da 650 mila euro. Quando è arrivata l’occasione di Busnago dovevo comprare la merce per poi venderla, firmava gli assegni mia figlia Valentina. Riuscivo solo a pensare: non posso farle passare ciò che ho passato io, non posso far protestare mia figlia, rischia per me. Non cedere, non cedere, lavora, inventati promozioni. Pensavo 24 ore al giorno al lavoro. Poi le vendite sono ricominciate. Oggi va bene, non ho mollato ma sono stato a un passo».

Nel frattempo restava un volto tv. Su quel lato ha qualche rimpianto?
«A inizio anni 90 stavo per firmare per “Ok il prezzo è giusto”. Dissero che c’era il via libera anche di Berlusconi. Poi è saltato tutto. Qualcuno nel management mi ha ritenuto una macchietta, inadatto, provinciale. Sono rimasto male perché chi mi ha stroncato – poi mi hanno detto un nome — non aveva mai scambiato mezza parola con me».

Certo nei programmi ha usato anche toni pesanti. Alla Fattoria è stato espulso per una bestemmia.
«Mi scuso di nuovo».

Qualche volta l’abbiamo vista ospite tra i politici.
«Una scelta premiata con gli ascolti. Tuttavia cerco di essere equidistante dai partiti».

Però ha delle simpatie…
«Marco Pannella mi avrebbe voluto candidare in Parlamento con i Radicali. Vittorio Sgarbi, che vive un brutto momento, è un grande amico».

Nel mondo dello spettacolo continua a frequentare qualcuno?
«Sento Teo Mammuccari, con Paolo Bonolis ho giocato per anni a calcio e Sonia Bruganelli voleva fare la tesi di laurea su di me».

Esiste l’erede di Roberto Da Crema?
«Mia figlia Valentina, bravissima anche in tv. Oggi vive un momento di salute difficile. Speriamo passi presto: tutti in famiglia facciamo il tifo per lei».

Il Baffo usa i social?
«Poco. Mi aiuta la segretaria».

Si sente l’antesignano degli influencer?
«Gli influencer spesso vendono cose senza che si capisca che vendono cose, un’opacità che non mi piace. Io penso di essere il contrario: non credo ci sia qualcuno a cui non è chiaro che sto vendendo e cosa sto vendendo».

A proposito di prodotti, parte il giro nel negozio. E succede qualcosa. Al Baffo cade l’occhio sul cartello sopra una cesta di lenzuola: «Ma come l’hanno scritto?». Si apprende che tassativamente, qui dentro, la regola è: nome del prodotto, dicitura: di solito venduto a tot; dicitura: qui da noi lo comprate a tot. «Manca il prezzo di vendita sul mercato. Scherziamo? Chiamatemi il manager…». Gelo. Non si riparte finché la cosa non è risolta. «Scusi ma sono un perfezionista».

Nei suoi store ha portato anche gli alimentari: c’entra la crisi economica?
«Ho iniziato con 10 metri quadrati sul totale dello spazio vendita, la richiesta è talmente alta che adesso sono diventati 80. Le famiglie faticano a fare la spesa a prezzi “normali”. Ma da me le vendite non sono calate».

E il Da. Bi., l’aspirapolvere da cui tutto è iniziato, esiste ancora?
«Ha 40 anni… Però ne ho rivisto un esemplare qualche mese fa all’Albergo Antico di Limito. Mi hanno chiamato per mostrarmelo. Ero lì per lavoro…».

Dunque per vendere.
«No, un pranzo per discutere un nuovo progetto».

Roberto Da Crema, adesso fa il misterioso?
«Non posso dire molto, solo che ci sarà un docufilm. Qualcuno ha pensato che la mia vita lo meriti. Il trailer è già pronto».

31 maggio 2024

 

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