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La Corte di Cassazione, sezione V civile, con la sentenza 5 marzo – 27 ottobre 2020 n. 23532 (testo in calce), afferma che l‘elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel Codice del processo tributario (art. 19), abbia natura tassativa, ma non precluda la facoltà di impugnare anche altri atti.

I suddetti atti devono portare a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche.

Pertanto, è impugnabile autonomamente l’invito a pagare il contributo unificato, benché di tale atto non si faccia menzione nel prefato art. 19.

L’interpretazione estensiva della disposizione avviene in ossequio alle norme costituzionale di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.).

La vicenda

Un donna ricorreva avverso il provvedimento di conferma di misure cautelari (art. 22 d.lgs. 472/1997). Il provvedimento impugnato era stato emesso sulla scorta di quattro avvisi di accertamento in materia di IRPEF, IRAP, IVA e relative sanzioni. L’avvocato determinava il valore del contributo unificato facendo riferimento alla somma per la quale era stata richiesta l’emissione delle misure cautelari. Tuttavia, l’ufficio di segreteria riteneva che la contribuente avrebbe dovuto versare un importo pari alla somma dei contributi unificati per ogni singolo atto (Dir. 2/2012 del DGT). Pertanto, le veniva notificato un invito di pagamento pari a 3.500,00 euro per il recupero del CU versato in maniera insufficiente.

La donna ricorreva avverso il suddetto provvedimento, considerandolo illegittimo e autonomamente impugnabile. L’ufficio di segreteria riteneva inammissibile il ricorso, giacché l’invito di pagamento non è impugnabile, non rientrando nell’elenco degli atti di cui all’art. 19 del Codice del processo tributario (d.lgs. 546/1992). La commissione tributaria provinciale ammetteva il ricorso, in quanto l’atto impugnato conteneva una pretesa tributaria, ma lo rigettava e condannava la contribuente al pagamento.

Ella proponeva appello e la commissione tributaria regionale accoglieva il gravame.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ricorre in Cassazione.

Elenco degli atti impugnabili: tassativo ma interpretabile estensivamente

L’art. 19 del Codice del processo tributario (d.lgs. 546/1992) contiene l’elenco tassativo degli atti impugnabili. Tale elencazione è suscettiva di interpretazione estensiva:

Pertanto, il contribuente può ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti dell’ente impositore che contengano una pretesa tributaria, senza dover attendere che uno di questi atti assuma la veste formale di quelli elencati nel citato art. 19 (Cass. 4513/2009; Cass. 7344/2012; Cass. Ord. 25297/2014; Cass. Ord. 3315/2016). La natura tassativa dell’elencazione degli atti impugnabili non esclude la possibilità di impugnarne altri, non menzionati dalla norma, purché con i suddetti provvedimenti l’amministrazione porti a conoscenza del contribuente una precisa pretesa tributaria. La Suprema Corte soggiunge che l’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non menzionato nel prefato art. 19, rappresenta una mera facoltà e non un onere.

Cosa significa?

La mancata impugnazione dell’atto non preclude la possibilità di impugnare l’atto successivo, rientrante nell’elencazione tassativa (Cass. Ord. 26129/2017).

Atti qualificabili come avvisi di accertamento

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, pur non avendone la veste, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita. Non è necessario che la comunicazione si concluda con una formale intimazione di pagamento, ma è sufficiente un invito bonario a versare quanto dovuto.

Ai fini dell’impugnazione dell’atto sono irrilevanti:

  • la mancata menzione della dicitura di “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento”,
  • la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione,
  • la mancata indicazione della commissione tributaria competente1

Il contribuente, non appena riceve l’atto, è titolare dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), o meglio l’interesse a chiarire la sua posizione tramite una pronuncia, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass. 21045/2007).

«È, d’altra parte, questa la ragione per la quale si ritiene che il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari vada presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria» (Cass. S.U. 9840/2011). Del resto, se l’invito a pagare il contributo unificato non viene impugnato e il soggetto non provvede al pagamento, ciò comporta l’automatica irrogazione, oltre che degli interessi, della sanzione aggiuntiva del 30%. Da quanto sopra esposto emergono:

  • la natura compiuta e definita della pretesa tributaria,
  • il concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto.

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L’invito a pagare il contributo unificato

Per completezza espositiva, si ricorda che la cancelleria trasmette al domicilio eletto dalla parte (solitamente l’indirizzo PEC dell’avvocato) l’invito al pagamento dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato preavvertendola che, in caso di mancato pagamento entro un mese dalla notifica, avverrà l’iscrizione a ruolo delle somme non pagate unitamente agli interessi (artt. 16, 247, 248, 249 DPR 115/2002). L’invito contiene il termine, le modalità per il pagamento e la richiesta al debitore di depositare la ricevuta entro 10 giorni dall’avvenuto versamento. L’invito al pagamento equivale ad una messa in mora (ex art. 2943 e 1219 c.c.) ed interrompe il termine prescrizionale del diritto alla riscossione del CU.

>> Per un approfondimento, si rimanda alla guida sul contributo unificato.

Calcolo del contributo unificato

Secondo la sentenza gravata, l’atto sulla cui base va calcolato il contributo unificato è quello di concessione delle misure cautelari (ex art. 22 d.lgs. 472/1997) e non i quattro avvisi di accertamento sulla cui base il primo atto è stato messo. Invece, il Ministero inizialmente sosteneva che per valore della lite dovesse intendersi l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate. Successivamente, (richiamando la Dir. n. 2/DGT dell’Agenzia e la legge 147/2013, art. 1, comma 598, lett. a), affermava che il calcolo del contributo unificato dovesse essere effettuato, in caso di ricorso cumulativo avverso più atti, con riferimento al valore uti singuli degli stessi, anziché sulla loro somma.

Secondo la Commissione Tributaria Regionale, l’oggetto del giudizio impugnatorio, con riferimento al quale occorreva calcolare il contributo unificato, era l’atto di concessione delle misure cautelari (ex art. 22 d.lgs. 472/1997) e non i quattro avvisi di accertamento che costituivano l’ubi consistam dell’atto stesso.

Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte rigetta il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nella fattispecie oggetto di scrutinio era stato presentato un ricorso nei confronti di un unico provvedimento, fondato su quattro diversi avvisi di accertamento. Non si trattava di un ricorso cumulativo avverso quattro distinti avvisi di accertamento, ma di un solo ricorso avverso l’atto di concessione di misure cautelari. Gli avvisi contestati costituivano semplicemente il presupposto logico-giuridico dell’atto impugnato. Quindi, l’importo del contributo va determinato sulla base del valore complessivo del processo tributario, e non del numero degli avvisi di accertamento costituenti il presupposto e l’antecedente logico giuridico, ma non l’oggetto dell’impugnazione. Inoltre, per le ragioni di cui in narrativa, è impugnabile autonomamente l’invito a pagare il contributo unificato, benché di tale atto non si faccia menzione nell’elencazione tassative dell’art. 19 del Codice del processo tributario.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 23532/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF


[1] Tali omissioni «possono dar luogo soltanto ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile» (Cass. S.U 16293/2007; Cass. 12194/2008; Cass. 14373/2010).

 

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