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Le vicende anomale nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo: interruzione, estinzione, sospensione.

Svolgendosi il procedimento di opposizione come un normale procedimento ordinario lo stesso appare soggetto alle norme in materia previste dal codice medesimo.

Interruzione. Si avrà, quindi, interruzione del giudizio per l’ipotesi di morte di una delle parti, o di un loro legale, ovvero ancora in ipotesi di fallimento di una parte.

Sotto tale ultimo profilo si segnala che l’art. 43, ultimo comma della nuova Legge fallimentare, risultante a seguito delle modifiche apportate al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, statuisce espressamente che «L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo», così superando il vuoto normativo prima esistente e colmato dalla giurisprudenza attraverso il ricorso all’applicazione analogica.

Estinzione e sospensione. Parimenti, il procedimento di opposizione può estinguersi per inattività delle parti, oppure per rinuncia gli atti, così come pure, nei suoi confronti, possono essere adottati i provvedimenti di sospensione necessaria ovvero su istanza di parte.

La peculiarità della fattispecie si rinviene nel fatto che il giudizio medesimo viene proposto al fine di fronteggiare gli effetti, esecutivi e non, di un decreto monitorio già emanato.

Appare evidente come l’attenzione dei giuristi si sia posata sull’individuazione del destino riservato al decreto qualora si verifichi una di queste ipotesi.

Qual è la sorte del decreto ingiuntivo in queste ipotesi?

Si è in proposito, dunque, affermato che: «La rinuncia agli atti del giudizio da parte dell’attore in opposizione a decreto ingiuntivo determina l’estinzione del giudizio stesso in assenza di un interesse sostanziale del creditore opposto alla prosecuzione del giudizio, interesse sussistente quando l’opposto si sia costituito ed abbia avanzato richieste di merito e non ravvisabile, al contrario, nel caso di richiesta di condanna dell’opponente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Infatti, il relativo giudizio presuppone lo svolgimento del processo, mentre l’effetto della rinuncia agli atti è quello di privare il giudice del potere dovere di emanare la sentenza di merito o di rendere nulla «ex nunc» la procedura»

[1].

Peraltro, più di recente, si è affermato che: «La rinuncia stragiudiziale all’opposizione a decreto ingiuntivo che non si traduca in una rinuncia agli atti del giudizio formalizzata dall’opponente ai sensi dell’art. 306 cod. proc. civ., non determina né l’estinzione del giudizio né la definitività dell’ingiunzione. Pertanto, sopravvenuto il fallimento dell’opponente, la formale pendenza del giudizio di opposizione determina l’inopponibilità al fallimento dell’intervenuta rinuncia, avendo il credito azionato in via monitoria ancora natura di res litigiosa e dovendo, conseguentemente disporsene l’ammissione al passivo in chirografo anche quando sia stata iscritta, in virtù della provvisoria esecuzione del decreto opposto, ipoteca giudiziale anteriormente al fallimento» [2].

Circa, poi, la normativa codicistica, appare di rilievo menzionare le modifiche recentemente apportate al codice di rito nell’ottica acceleratoria che connota la recente riforma.

Art. 307 c.p.c.

Il novellato art. 307 c.p.c., infatti, prevede che il termine per la riassunzione del procedimento cancellato dal ruolo a seguito di inattività delle parti non è più pari ad un anno, bensì a tre mesi, (art. 307, co. 1, nuova formulazione), mentre l’ultimo comma della norma prevede l’operatività anche ex officio e non più solo ad istanza di parte prima di ogni sua difesa, dell’eccezione di estinzione. Sul punto, peraltro, ogni operatore del diritto, sia esso giudice o avvocato, sa bene come le ipotesi di riassunzione siano talmente sporadiche da rendere la novella normativa totalmente priva di alcuna efficacia sulla sanatoria dei mali che affliggono le controversie civili.

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