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Sommario: I. Introduzione – II. Vicenda processuale – III. Conclusioni.

I. Introduzione

La sentenza del Tribunale di Ivrea potrebbe segnare l’inizio di una serie di provvedimenti, non omogenei, riguardanti la dibattuta questione sul decreto ingiuntivo e la tutela del consumatore contro eventuali clausole abusive e la loro rilevabilità d’ufficio in sede esecutiva. Tale sentenza si discosta nettamente dall’interpretazione fornita dal giudice di legittimità e cioè la Terza sezione, la quale, con ordinanza 29 marzo 2023 n. 8911[1] – pochi giorni prima della nota sentenza delle Sezioni Unite – tentava di delimitare il più possibile i poteri del giudice dell’esecuzione, al fine di ripristinare una sorta di “certezza del diritto” limitando possibili strumentalizzazioni dei principi di diritto sanciti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, trasformando così il processo esecutivo in un processo di (ulteriore) cognizione[2].

Al contrario, il giudice dell’esecuzione di Ivrea sembra aver adottato un’interpretazione opposta, non solo rispetto all’ordinanza poc’anzi menzionata, ma anche rispetto alla sentenza 6 aprile 2023 n. 9479 delle Sezioni Unite[3].

Infatti, il giudice di merito di Ivrea ha stabilito che il consumatore può utilizzare lo strumento dell’opposizione tardiva anche qualora il decreto ingiuntivo sia stato opposto ex art. 645 c.p.c. (sic!), ma  senza che sia stata dedotta alcuna clausola abusiva, assegnando al debitore un termine per proporre opposizione tardiva: così estendendo a tale fattispecie ai principi di diritto contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite.

II. Vicenda processuale

A seguito del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il debitore esecutato depositava, nell’ambito della procedura esecutiva, una memoria chiedendo la concessione di un termine di 40 giorni per proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., deducendo l’abusività, e la conseguente nullità, della clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. contenuta nel contratto di fideiussione posto a sostegno dell’azione monitoria.

La parte, con la memoria, chiedeva al giudice dell’esecuzione: «1) provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale in ordine all’assenza della motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito appetto del decreto ingiuntivo; 2) qualora la presenza di quanto sopra esposto risulti già evidente in base agli elementi di diritto  e fatto già in atti – all’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – informare le parti e avvisare il debitore esecutato che entro 40 giorni potrà proporre opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. per far accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo; 3) non procedere alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del Giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore. Si insta, pertanto, affinché l’esperimento di vendita fissato per il giorno 27 giugno 2023 così come da avviso emesso dal Professionista Delegato venga sospeso in attesa dei provvedimenti che saranno adottati nell’ambito del giudizio di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. dal Giudice dell’opposizione su richiesta ex art . 649 c.p.c. il cui eventuale provvedimento di sospensione avrà effetti sulla presente procedura esecutiva ai sensi dell’art. 623 c.p.c. considerato come la parte debitrice, a sostegno dell’istanza formulata, abbia dedotto la nullità della clausola contenuta al punto 5) del contratto di fideiussione posto a sostegno dell’azione monitoria, laddove prevede la deroga al disposto dell’art. 1957 c.c. In quanto si porrebbe “in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 33 e 34 comma quarto del Codice del Consumo”, richiedendo l’assegnazione del termine per proporre opposizione ex art. 650 c.p.c. al fine di dedurre la predetta nullità e conseguentemente eccepire la decadenza per non aver proposto entro il termine di sei mesi le azioni nei confronti della società debitrice principale». 

Il giudice, accogliendo la richiesta del debitore esecutato, osserva come la Suprema Corte «nel dare seguito (…) a pronunce della Corte di Giustizia, abbia affermato che nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, D.), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio)».

Considerato, quindi, che alla luce dei principi stabiliti sia dalla CGUE che dalle Sezioni Unite, pur riservando al giudice della cognizione ex art. 650 c.p.c. ogni valutazione sull’applicabilità dei «predetti principi anche all’ipotesi di giudicato formatosi a cognizione piena a seguito di opposizione avverso il decreto ingiuntivo laddove la nullità non sia stata dedotta dalla parte e/o rilevata dal giudice, nonché ogni valutazione correlata alla specifica natura della censura svolta e alla conseguente ipotetica decadenza del creditore» ex art. 1957 c.c., deve essere concesso alla parte istante il termine per proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo (sebbene già opposto in sede monitoria).

III. Conclusioni

Le Sezioni Unite, non hanno affrontato esplicitamente il problema affrontato dal Tribunale di Ivrea, ovvero, se il superamento del giudicato recato da un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo si imponga, al fine di proteggere la parte più debole del rapporto, anche all’esito del giudizio a cognizione piena, oltreché «nel caso del decreto ingiuntivo non opposto (in cui a venire in rilievo, come giustamente rilevato dalla dottrina, non è tanto un problema di giudicato quanto il sistema di accertamento basato su preclusioni proprio di questo rito con prevalente funzione esecutiva)»[4].

Esistono opinioni contrastati sull’argomento. Un’opinione sostiene che l’interpretazione della CGUE sulla Direttiva 93/13/CEE debba essere applicata non solo ai decreti ingiuntivi non opposti, ma anche alle decisioni emesse nel contesto di un processo a cognizione piena, coerentemente con l’orientamento secondo cui il giudice nazionale deve sempre rilevare d’ufficio l’applicabilità di detta direttiva ad un determinato contratto, anche in caso di contumacia del consumatore[5]. La seconda, ritiene invece che il controllo officioso sull’abusività delle clausole in sede esecutiva non sia più possibile a seguito del processo a cognizione piena, anche in caso di contumacia del consumatore, dovendosi applicare la giurisprudenza secondo cui il giudice non può e non deve supplire alla completa inerzia del consumatore[6].

A prima lettura, la soluzione prospettata dal giudice dell’esecuzione di Ivrea può sollevare alcune preoccupazioni soprattutto per il possibile abuso da parte di avvocati, consumatori e finanche giudici dell’esecuzione, che, data la generale “incertezza del diritto” potrebbero cercare – a ragion veduta per i consumatori e i loro difensori (non per i giudici) – di rimettere in discussione rapporti che, precedentemente al 17 maggio 2022, sarebbero stati considerati definitivi. Se la CGUE afferma che il giudice dell’esecuzione, in quanto giudice, può rilevare le nullità di protezione a vantaggio del consumatore, le Sezioni Unite hanno fatto riferimento alle sole ipotesi del decreto ingiuntivo non opposto, individuando una sorta di compromesso con la CGUE, ma comunque prevedendo l’opposizione tardiva solo nei casi in cui l’opposizione non sia già stata esperita e rigettata[7].

La sentenza del Tribunale di Ivrea non prospetta un futuro tranquillo e senza interrogativi per i Tribunali italiani e per la Suprema Corte, che inevitabilmente si troverà nuovamente a pronunciarsi sulla questione, con nuovi contrasti giurisprudenziali, tanto fra i giudici di merito nazionali quanto tra le singole Sezioni in Cassazione. Inoltre, la sentenza evidenzia un susseguirsi di «errori» interpretativi che, a nostro avviso, derivano – non tanto dalla domanda di rinvio pregiudiziale del g.e. di Milano che ha dato luogo alla sentenza della CGUE – quanto piuttosto dalla decisione della Corte di cassazione che ha consolidato con la sua giurisprudenza pluridecennale il fatto che il decreto ingiuntivo non opposto fosse dotato della stabilità di giudicato, non solo formale, ma anche quella sostanziale prevista dall’art. 2909 c.c.[8]. Sempre più evidente sembra essere la correttezza della tesi, del tutto minoritaria, di Enrico Redenti sulla preclusione pro iudicato[9], che nient’altro significa se non che la stabilità della prestazione oggetto del decreto ingiuntivo non copre l’intero rapporto contrattuale, poiché il giudice in sede monitoria non effettua alcun accertamento sul rapporto contrattuale ma si limita a verificare i requisiti dell’art. 633 c.p.c.

La questione, insomma, è ancora aperta, e soggetta ad evoluzioni insospettabili.

 

[1] Si v., se si vuole, la breve segnalazione Latini Vaccarella, La Terza sezione e la rilevabilità d’ufficio delle clausole abusive a tutela del consumatore (a proposito di ord. 29 marzo 2023 n. 8911 e di Sez. Un. 6 aprile 2023 n. 9479), in www.judicium.it, 2023.

[2] Si segnalano le Sezioni Unite del 2019 che sul punto erano chiarissime, Cass., S.U., 23 luglio 2019, n. 19889: «La contestazione del diritto ad agire in via esecutiva non integra, in senso tecnico, un’impugnazione del titolo posta a base del precetto e, così dell’esecuzione che sull’uno e sull’altro si minaccia. Nel caso di titolo esecutivo giudiziale, infatti, con l’opposizione non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poiché quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento contro di quello, mentre quelle per fatti posteriori alla definitività o alla maturazione delle preclusioni per farli valere in quella sede non integrano, a stretto rigore, un’impugnazione del titolo, ma appunto l’articolazione di fatti di cui quello non ha legittimamente potuto tener conto e per la cui omessa considerazione non potrebbe mai considerarsi inficiato: ed in entrambi i casi non può tecnicamente impugnarsi un titolo per un vizio non suo proprio». In dottrina si v. i commenti di: Conte, Sezioni unite e reclamabilità dell’ordinanza ex art. 615, 1 comma, c.p.c., in Giur. it., 2019, 2411-2416; Felloni, Reclamabilità della decisione sulla sospensiva in sede di opposizione a precetto, in Giur. it., 2019, 2416-2420.

[3] Si v. Capponi, Il G.E. e la Cass., SS.UU., 6 aprile 2023, n. 9479, in www.judicium.it, 2023; Id., Primissime considerazioni su SS.UU 6 aprile 2023 n. 9479, in www.giustiziainsieme.it, 2023; Consolo, Istruttoria monitoria “ricarburata” e, residualmente, opposizione tardiva consumeristica “rimaneggiata” (specie) su invito del g.e., in Giur. it., V, 2023, 1054-1060; D’Alessandro, Dir. 93/13/CEE e decreto ingiuntivo non opposto: le Sez. un. Cercano di salvare l’armonia (e l’autonomia) del sistema processuale nazionale attraverso una lettura creativa dell’art. 650 c.p.c., in Giur. it., V, 1060-1068; Morotti, Nullità di protezione e decreto ingiuntivo: poteri del giudice e (assenza di) giudicato, in Il Quotidiano Giuridico, 2023.

[4] Morotti, Nullità di protezione rilevabile anche dopo il rigetto dell’opposizione a d.i., in Il Quotidiano Giuridico, 2023. Tra le primissime segnalazioni De Santis, L’opposizione tardiva “consumeristica” dopo – e oltre – i dicta delle Sezioni Unite n. 9479/2023 (Tribunale Ivrea, 16 Maggio 2023), in www.judidium.it, 2023.

[5] Si v. Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen VZW v. Susan Romy Jozef Kuijpiers, C-147/16, ECLI:EU:C:2018:320. In dottrina Rasia, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 63 ss.

[6] D’Alessandro, Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell’avv. Gen. Tanchev, in Giur. it., 2022, 541 ss. A tale proposito si deve segnalare lo scritto di De Stefano,  in www.giustiziainsieme.it, 2023 al punto 6.13 che qui si riporta integralmente: «può così ribadirsi che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo controllare soltanto la persistenza della validità di quest’ultimo e quindi attribuire rilevanza solamente a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (salvo il caso dell’incolpevole impossibilità, per il debitore, di farli valere in quella unica competente sede)”».

[7]  Ad esempio, le recenti Sezioni Unite del 13 gennaio 2022 n. 927 avevano statuito che l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo. Non si tratta di un actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione.

[8] In dottrina Valitutti e De Stefano, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova, 2013. Tra i più recenti arresti della Suprema Corte si vedano: Cass. civ., Sez. I, sent. 27 gennaio 2014 n. 1650: « In assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.; tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo»; Cass. civ., Sez. II, ord. 24 marzo 2021 n. 8299: «L’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto non viene meno di per sé a seguito dell’opposizione tardivamente proposta, così come il passaggio in giudicato dello stesso non è impedito – o revocato – dalla sua impugnazione con la revocazione straordinaria o l’opposizione di terzo (art. 656 c.p.c.), rimedi straordinari per loro natura proponibili avverso sentenze passate in giudicato, l’assoggettamento ai quali del decreto ingiuntivo in tanto ha ragione di esistere in quanto l’esaurimento della esperibilità di quelli ordinari ha già dato luogo al giudicato, che non è inciso, in definitiva, dalla mera opposizione tardiva»; Cass. civ., Sez. II, sent. 4 novembre 2021, n. 31636: «Il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, che abbia ad oggetto la condanna al pagamento di prestazioni fondate su un contratto a monte, preclude all’intimato la possibilità di invocare, in un diverso giudizio, la nullità del contratto o di specifiche sue clausole, atteso che il giudicato, coprendo il dedotto e il deducibile, si estende anche all’insussistenza di cause di invalidità (c.d. giudicato per implicazione discendente), ancorché diverse da quelle fatte valere nel processo definito con sentenza irrevocabile». Si v. anche la giurisprudenza sul giudicato civile: Cass. civ., Sez. lavoro, sent. 16 agosto 2012 n. 14535, Cass. civ., Sez. lavoro, sent. 23 febbraio 2016 n. 3488 e Cass. civ., Sez. lavoro, ord. 30 ottobre 2017 n. 25745: «Il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia»; Cass. civ. Sez. I, ord. 9 novembre 2022 n. 33021: «L’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del “petitum” e della “causa petendi”, fermo restando il requisito dell’identità delle persone». In dottrina si v. anche Luiso, Contro il giudicato implicito, in www.judicium.it, 2019.

[9] Redenti, Profili pratici del diritto processuale civile, Milano, 1938, 135-137; Id., Diritto processuale civile, Milano, 1999, spec. 91-92. Contra Garbagnati, Preclusione pro iudicato e titolo ingiuntivo, in Studi in onore di Enrico Redenti, I, Milano, 1951, 467-483 così anche A. A. Romano, Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento. Regolamento (CE) N. 1896/2006, del 12 dicembre 2006, Milano, 2009, spec. 161-173.

 

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