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Con la pronuncia in commento, il Tribunale di Firenze torna a far riflettere sull’importanza del vaglio delle circostanze di fatto ai fini del riconoscimento a favore di una persona fisica della fondamentale qualifica di Consumatore. L’importanza di tale vaglio è infatti il presupposto della tutela dalle clausole contrattuali abusive, secondo la normativa di favor consumeristica.

In particolare, la sentenza ritorna sul tema della necessità per l’interprete:

– di lasciarsi guidare da un criterio funzionale ed oggettivo al fine di attribuire (o meno) ad un soggetto la qualifica di Consumatore (ribadendo l’intervenuto superamento della teoria del c.d. “garante di riflesso”);

– di spostare il metro di valutazione dal soggetto garantito al soggetto garante per approdare, come diretta conseguenza del riconoscimento della qualifica di Consumatore, alla soluzione, appena sancita dalla Suprema Corte con Ordinanza n.27558/2023 del 28 settembre ultimo scorso, di ritenere abusiva la clausola di deroga all’art.1957 c.c. ai sensi della Direttiva n.93/13/CEE e del Codice del Consumo.

*****

Il caso.

Il Tribunale fiorentino si è pronunciato in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da soggetto che aveva sottoscritto in favore della società debitrice principale fideiussioni con clausola omnibus.

Il garante deduceva, a sostegno della proposta azione:

– in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva della ricorrente;

– nel merito:

– la nullità quantomeno parziale delle garanzie rilasciate per contrarietà alla normativa antitrust di cui alla L.287/90 e ciò nonostante le fideiussioni risalissero ad un periodo antecedente rispetto agli accertamenti compiuti da Banca d’Italia con il noto provvedimento n.55/05. In particolare l’opponente eccepiva la nullità della clausola di deroga all’art.1957 c.c. con conseguente reviviscenza del termine semestrale codicistico ed intervenuta decadenza dal proprio impegno fideiussorio;

– la propria qualifica di Consumatore e dunque la conseguente nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. contenuta nella fideiussione dallo stesso sottoscritta ai sensi degli art. 33 comma II lett.t) e 36 Codice del Consumo, con conseguente intervenuta estinzione della garanzia stessa per decorso del termine semestrale ex art. 1957 c.c.;

– la mancata sottoscrizione, da parte della banca e del correntista della documentazione contrattuale, in aperta violazione degli artt. 117 e 1284 c.c.

L’opposta si costituiva in giudizio contestando le deduzioni avversarie e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto rilevando nello specifico:

– la legittimità, in assenza di prova dell’intesa anti concorrenziale a monte, delle clausole delle fideiussioni oggetto di contestazione in quanto espressive di un’autonomia negoziale delle parti;

– la validità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. in quanto oggetto di doppia sottoscrizione da parte del garante in ossequio all’art. 1341 II comma c.c.;

– l’impossibilità di qualificare il garante quale Consumatore in adesione alla cd. teoria del “garante di riflesso”, ossia dovendosi far riferimento alla società debitrice principale per escludere la qualifica consumeristica del garante.

 

La decisione.

In applicazione del criterio della ragione più liquida del decidere, ritenendo le altre questioni assorbite, il Tribunale di Firenze ha indirizzato e fondato la propria statuizione sulla qualificazione dell’opponente quale Consumatore e sull’abusività della clausola di deroga all’art. 1957 c.c., ritenendo tali due aspetti dirimenti ai fini del decidere.

 

La ritenuta applicabilità della normativa consumeristica.

In primo luogo, il Giudice fiorentino ha ritenuto sussistente il presupposto soggettivo di applicazione della disciplina di cui al Codice del Consumo (D. lgs 206/2005), ossia ha ritenuto di poter qualificare il garante opponente quale Consumatore.

 

La nozione di consumatore.

La Direttiva 93/13/CEE (art. 2 lett. b) ed il Codice del Consumo (art. 3), che ha recepito la Direttiva stessa nell’ordinamento italiano, definiscono Consumatore “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale.

Come correttamente affermato nella sentenza che ci occupa, si è pertanto in presenza di un soggetto Consumatore quando si realizzino cumulativamente due condizioni: l’essere il soggetto persona fisica e il non avere lo stesso agito nella sottoscrizione del contratto di garanzia per finalità professionali o imprenditoriali, bensì per esigenze riconducibili all’alveo della vita privata e delle quotidiane esigenze (criterio c.d. funzionale ed oggettivo).

Sotto questa angolazione dunque è Consumatore la persona fisica che abbia rilasciato la garanzia senza che sia possibile creare alcun apprezzabile collegamento funzionale tra la sottoscrizione del contratto e l’attività professionale o imprenditoriale eventualmente esercitata dal contraente.

Il concetto di Consumatore, anche con riferimento allo stesso soggetto, è quindi un concetto “in evoluzione”, non potendosi parlare di un soggetto perennemente Consumatore o non Consumatore, dovendosi invece far attenzione al contratto di volta in volta stipulato ed alle esigenze che con lo stesso la persona intendesse soddisfare.

Si ricordi infine che la tutela del Consumatore è particolarmente importante nel caso di fideiussione, che comporta per il garante obblighi onerosi, che gravano il suo patrimonio con un rischio spesso difficile da misurare  e che l’art. 4 Direttiva 93/13/CEE nonché l’art. 34 cod. cons. prevedono, nel caso di fideiussione, che la valutazione della qualità di Consumatore vada operata dal giudice nazionale con riferimento al momento della prestazione della garanzia, poiché è in quel momento che si concretizza lo squilibrio contrattuale al quale la normativa a tutela del Consumatore tende a supplire.

 

Il superamento della teoria del cd. garante di riflesso.

Prosegue poi il Giudice monocratico rilevando correttamente che nell’ipotesi in cui si controverta della qualifica di Consumatore in capo al garante, “spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa ad un contratto idoneo aa rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie concreta, se il contraente possa essere qualificato come consumatore ai sensi della suddetta direttiva”.

Ebbene, svolto tale esame, lo stesso Giudice rileva che, nel caso di specie, da un lato l’opponente è persona fisica ed ha dedotto di aver sottoscritto la garanzia per scopi estranei alla propria attività professionale o imprenditoriale (essendo lo stesso “legato presumibilmente da rapporti di tipo personale con il debitore principale”) e d’altro canto parte opposta ha solamente affermato che è necessario far riferimento alla società debitrice principale per escludere la qualifica consumeristica in capo al fideiussore.

Coerentemente alla giurisprudenza unionale e nazionale il Giudice di merito ha dunque reputato, alla luce dei suddetti rilievi, oramai definitivamente superata la teoria del c.d. garante di riflesso, anche grazie all’intervento delle SSUU n.5868/2023 secondo cui “il fideiussore persona fisica non è professionista di riflesso, non essendo quindi tale solo perché lo sia il debitore garantito”.

Ancora prima, la Suprema Corte ha sostenuto che “la giurisprudenza della Corte di giustizia” (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea emessa il 19 novembre 2015 nella causa C-74/15) “con interpretazione vincolante resa in sede di rinvio pregiudiziale, ha inteso dare una tutela rafforzata al garante, soggetto che viene rappresentato in condizioni di disparità di trattamento con la banca, ed ha indicato chiaramente, in sede di rinvio pregiudiziale, che è alle condizioni personali del garante e non del garantito che bisogna guardare per vedere se definirlo come consumatore o meno, con le necessarie ricadute anche procedurali. Altrettanto chiaramente, però, la Corte di giustizia demanda al giudice di merito di accertare se, nel caso concreto, il garante abbia prestato la garanzia per ragioni meramente personali, estranee alla sua attività professionale” (cfr. Cass., n.1666/2020 ed anche Cass n742/2020).

Nel contratto di garanzia dunque è al soggetto garante e non al garantito che si deve avere riguardo per stabilire se il garante sia o meno Consumatore, in quanto pur essendo la fideiussione un contratto accessorio “dal punto di vista delle parti esso si presenta come un contratto distinto”.

L’accessorietà della garanzia rispetto al contratto garantito quindi non fa divenire il fideiussore “duplicato” del debitore, né la qualificazione del contratto può incidere sulla qualità di uno dei contraenti.

Ciò in quanto l’oggetto del contratto è irrilevante ai fini della individuazione della disciplina applicabile in quanto “le regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a “qualsiasi contratto” stipulato tra un professionista e un consumatore”.

Conta quindi solo la qualità dei contraenti, ossia la circostanza che essi stipulino il contratto nell’ambito della propria attività professionale o al di fuori di questa.

Null’altro.

In tale prospettiva, è vero sì che il contratto di fideiussione è avvinto da un vincolo di accessorietà al contratto principale garantito, ma è altrettanto vero che “dal punto di vista delle parti contraenti, esso si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale”.

Se ne deve concludere che l’accessorietà, pur connotando la struttura dell’obbligazione fideiussoria, non arriva ad incidere sulla qualificazione dell’attività, professionale o meno, di uno dei contraenti.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale in commento correttamente conferma il superamento della teoria del professionista c.d. di riflesso e, in applicazione dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia, identifica il criterio, per la determinazione della disciplina da applicare (consumeristica o meno), nella concreta valutazione della circostanza per cui il rapporto contrattuale di fideiussione rientri o meno nell’ambito di un’attività estranea all’esercizio della professione eventualmente svolta dal soggetto garante.

Tale superamento si fonda sulla considerazione per cui “le finalità della disciplina consumeristica sarebbero frustrate ove dovesse ritenersi in sé che il garante di un professionista sia, per definizione, a sua volta qualificato come non consumatore” (cfr. Cass. Ordinanza del 27 febbraio 2023 n.5868).

La sostanza del rapporto deve dunque necessariamente prevalere sul ruolo, eventualmente professionale, del debitore principale ed infatti conclude la sentenza oggetto del presente contributo “bisogna, pertanto, ritenere che nella fattispecie in esame il garante ha sottoscritto le fideiussioni non nel quadro di una indimostrata attività professionale o per finalità connesse, bensì come persona fisica che agiva come consumatore non professionista legato presumibilmente da rapporti di tipo personale con il debitore principale”.

 

La prova della qualifica di consumatore.

In chiosa di tale ragionamento, il Tribunale ha affermato un importante principio in punto prova della qualifica di Consumatore sostenendo che: “La finalità protettiva che investe la disciplina consumeristica e che permette al giudice di rilevare la nullità delle clausole concretanti un significativo squilibro normativo in danno del garante anche laddove il potenziale beneficiario della rilevazione ufficiosa nulla abbia dedotto in proposito, a meno che non abbia un qualche interesse contrario (Cass. civ., S.U. sent. 12.12.2014, n. 26242; Cass. civ. S.U. ord. 4.11.2019, n. 28314), esonera il consumatore dall’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Dlgs. 206/2005. Compete semmai alla controparte l’onere di provare l’attinenza del rapporto controverso all’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, creandosi altrimenti il rischio di porre una probatio diabolica a carico del presunto consumatore (Corte di Appello Firenze, sent. 30.05.2022, n. 1091)”.

Tale criterio probatorio applicato dal Giudice fiorentino “corrisponde all’idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito dalla direttiva stessa, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il livello di informazione”.

Si badi bene che difatti l’intera struttura di tutela consumeristica, costruita a partire dal sistema unionale attraverso la Direttiva n. 93/13/CEE (e garantita quale principio fondamentale dell’Unione dal Trattato sul Funzionamento dell’UE art. 169 e seguenti e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE art.38), si fonda proprio sulla necessità di protezione del Consumatore quale parte debole del rapporto in virtù dell’asimmetria della posizione dello stesso rispetto a quella del Professionista, a livello informativo, ma anche (e ciò è evidente soprattutto con riferimento alla fideiussione schema ABI quale modello standardizzato non contrattato tra le parti) di potere contrattuale.

Ebbene, tale “meccanismo probatorio” in favore del Consumatore:

– è ancora più importante se si consideri l’ipotesi di una fideiussione stipulata tra un istituto bancario ed un Consumatore in quanto “tale contratto si basa infatti su un impegno personale del garante o del fideiussore al pagamento del debito contratto da un terzo. L’impegno medesimo comporta, per colui il quale vi acconsente, obblighi onerosi che hanno l’effetto di gravare il suo patrimonio di un rischio finanziario spesso difficile da misurare” .

è diretto a garantire un’adeguata protezione del Consumatore in quanto parte contrattuale ritenuta più debole e giuridicamente meno esperta della propria controparte professionale, ossia una parte che non può essere scoraggiata, nella volontà di ottenere tutela, da un onere probatorio più gravoso.

Ne discende che il Giudice fiorentino ha “funzionalizzato” la normativa in punto prova al fine di garantire l’effettività della tutela del Consumatore adottando quello che viene chiamato “intervento positivo esterno del Giudice” nell’ottica di un riequilibrio reale tra le parti contraenti che è funzionale anche ad un mercato in concorrenza ed in trasparenza.

 

La ritenuta abusività della clausola di deroga all’art. 1957 c.c.

In secondo luogo la sentenza del Tribunale di Firenze, ritenuta applicabile al caso di specie la disciplina consumeristica, ha affermato il carattere abusivo della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. contenuta nella fideiussione c.d. omnibus, quale titolo fondante l’ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore.

 

Il concetto di clausola abusiva e di trattativa con il consumatore.

L’art. 3 par.1 Direttiva n. 93/13/CEE come recepita nel nostro ordinamento nazionale dal Codice del Consumo (art. 33 comma 1), afferma che sono abusive le clausole contenute nei contratti conclusi dal professionista con il Consumatore che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” e che non siano oggetto di trattativa individuale con il Consumatore stesso.

L’art. 3, par. 3 della Direttiva 93/13/CEE fa poi riferimento ad un allegato in cui è contenuta una elencazione esemplificativa di clausole abusive de plano, ossia la cd. “lista nera”.

In questo elenco si annoverano, tra le altre, anche le clausole predisposte dal Professionista che limitino o impediscano al Consumatore di formulare eccezioni sul comportamento negligente del Professionista stesso, tali quindi da comportare l’estinzione della propria obbligazione, squilibrando così il sinallagma contrattuale in favore del Professionista.

La clausola abusiva non può avere alcun effetto nell’ordinamento in forza dei principi espressi dall’art. 6 della Direttiva n. 93/13/CEE ed è pertanto nulla ex art.36 Codice del Consumo.

Alcune di queste clausole abusive possono ritenersi valide solo in presenza di trattativa individuale , seria, specifica con il Consumatore (con onere probatorio in capo al Professionista), non essendo sufficiente la doppia sottoscrizione, che attiene al diverso tema delle clausole cc.dd. vessatorie ex art. 1341 c.2 c.c.

Nel caso di fideiussione tuttavia, trattandosi di contratto per adesione predisposto dal professionista su un modello standardizzato, la trattativa individuale si considera come mai avvenuta ai sensi dell’art. 34, comma 5, del Codice del Consumo, nonché dell’art. 3 comma 2 comma Direttiva n. 93/13/CEE (con prova contraria gravante sul Professionista).

 

L’abusività della clausola di deroga all’art.1957 c.c.

Il Tribunale di Firenze, ha ritenuto, sulla base di “un’interpretazione letterale” la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. abusiva in forza di una presunzione iuris tantum anche ai sensi dell’art. 33 II co. lett.t) Codice del Consumo in quanto “pone a carico del contraente nei cui confronti la stessa clausola produce effetti decadenze e/o limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni” ed ha affermato la necessità, al fine di superare tale presunzione, di una trattativa individuale con il Consumatore sul contenuto della clausola, non provata dal Professionista onerato (si veda da ultimo Cass. n. 2558/2023), che nel caso di specie si è limitato a dare atto della doppia sottoscrizione (in ogni caso e comunque, a ben vedere, ex art. 36, lettera b) del Codice del Consumo la clausola di deroga all’art. 1957 c.c., in quanto implicante rinuncia del Consumatore a far valere l’inadempimento del professionista ai propri obblighi, segnatamente di buona fede e diligenza nel recupero del credito sottesi alla disposizione del codice civile, sarebbe comunque nulla quantunque oggetto di (insussistente) trattativa tra le parti).

La deroga all’art. 1957 c.c. espone infatti il Consumatore all’incertezza temporale dell’escussione della garanzia, in spregio alla ratio stessa della norma, che intende evitare che lo stesso sia soggetto a tempo indeterminato all’escussione ed esonera, a suo esclusivo vantaggio, il Professionista dall’agire secondo il termine semestrale codicistico.

L’abusività di questa clausola risiede nel comportare uno squilibrio contrattuale, nel privare il Consumatore del proprio diritto di opporre eccezioni e nel creare in capo al Consumatore garante una situazione sfavorevole rispetto a quella che si concretizzerebbe in applicazione della regola semestrale codicistica ex art.1957 c.c., il tutto in assenza peraltro di alcun corrispettivo.

Essa dunque è abusiva in quanto è il prodotto di un comportamento illecito che non consente, oltre alla tutela del Consumatore quale parte debole del rapporto, nemmeno la tutela dell’interesse generale ad un mercato a condizioni equilibrate.

Peraltro, tali conclusioni sono state recentissimamente e definitivamente confermate dalla Suprema Corte con ordinanza n. 27558/2023, che ha sostenuto che una siffatta clausola “si appalesa allora senz’altro deponente per l’assoggettamento del fideiussore ad una disciplina astrattamente idonea a configurare il significativo squilibrio a danno del Consumatore……spettando al giudice di merito di verificarne l’effettiva integrazione nel caso concreto avuto riguardo al tenore dello stipulato contratto, allorquando, come nella specie tale clausole risulti non essere stata oggetto di specifica trattativa. La disciplina di tutela del consumatore posta dal d.lgs. n. 206 del 2005 – c.d. Codice del consumo- (e già agli artt. 1469 bis ss. c.c.), che può invero riguardare anche il singolo rapporto, è funzionalmente volta a tutelare il consumatore a fronte della unilaterale predisposizione ed imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, nella sua fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto. Con conseguente alterazione, su un piano non già solamente economico, della posizione paritaria delle parti contrattuali idoneo a ridondare, mediante l’imposizione del regolamento negoziale unilateralmente predisposto, sul piano dell’abusivo assoggettamento di una di esse (l’aderente) al potere (anche solo di mero fatto) dell’altra (il predisponente) (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262). Evidente è pertanto come, sia mediante la unilaterale predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti ( artt. 1341, 2° co., 1342 c.c. ) sia in occasione della stipulazione di un singolo contratto redatto per uno specifico affare, mediante l’unilaterale predisposizione ed imposizione del relativo contenuto negoziale, il professionista può invero affermare la propria autorità (di fatto) contrattuale sul consumatore……….Un tan-to va anche nella specie tenuto conto, a fortiori in considerazione della circostanza che il contenuto della fideiussione risulta essere stato dall’istituto bancario determinato (anche) mediante la sostanziale trasposizione della clausola di rinunzia al termine ex art. 1957 c.c. sintomaticamente contemplata tra quel-le dello schema contrattuale predisposto dall’ABI” .

 

Il dies a quo ai fini del decorso del termine semestrale ex art.1957 c.c.

Nel concludere affermando che l’abusività della deroga all’art. 1957 c.c. comporta la nullità della relativa clausola, con reviviscenza del termine semestrale codicistico e, nel caso di specie, l’estinzione della garanzia per inutile decorso del termine di legge, il giudice si sofferma su alcuni aspetti degni di nota.

Il primo è l’inopponibilità degli accordi (nella specie piani di rientro) tra creditore e debitore principale al fideiussore che, di fatto, è estraneo agli accordi medesimi i quali dunque non possono avere alcun effetto, sospensivo o interruttivo, sul termine di decadenza ex art. 1957 c.c.

Il decorso del termine semestrale quindi ricade esclusivamente sulla banca.

Il secondo è la non condivisibile argomentazione del soggetto professionista secondo cui, trattandosi di garanzia a prima richiesta, risulterebbe sufficiente anche la proposizione nei confronti del debitore di un’istanza stragiudiziale, per paralizzare la decadenza.

Questo secondo aspetto, induce a soffermarsi su tre ulteriori considerazioni, non prese in esame dal Giudice fiorentino:

La prima: andrebbe vagliata la presenza effettiva nella garanzia esaminata della clausola “a prima richiesta” spesso infatti confusa con la diversa clausola “a semplice richiesta scritta”. La differenza ontologica delle due clausole è stata già chiarita da Banca d’Italia al paragrafo 28 del provv. BDI n.55/05: “l’ABI stessa ha precisato che la disposizione relativa all’obbligo di pagamento del fideiussore A SEMPLICE RICHIESTA scritta della banca non configura, in effetti, una garanzia “A PRIMA RICHIESTA”.

La seconda: non deve mancarsi di osservare che la clausola cd. “a prima richiesta” è anch’essa abusiva ai sensi del Codice del Consumo, in quanto clausola che limita i diritti di cui il Consumatore godrebbe secondo la normativa nazionale, in assenza di sua previsione. Trattasi infatti di clausola che stabilisce il diritto di esigere immediatamente la prestazione, anche a prescindere dalla puntuale prova del credito e rinviando nel tempo sia la possibilità di dare piena prova del credito, sia la possibilità di sollevare eccezioni da parte del Consumatore, con evidente squilibrio contrattuale.

Sul punto il Tribunale Padova sez. II, 03 ottobre 2019 ha infatti espressamente rilevato che “In tema di fideiussione, la clausola secondo cui le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire “a prima richiesta” va valutata come vessatoria ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. t) del d.lgs. n. 206 del 2005 in quanto stabilisce una limitazione alla facoltà di proporre l’eccezione di estinzione del vincolo obbligatorio sulla base dell’ordinaria disciplina codicistica. In ogni caso, simili clausole sembrano censurabili anche sulla base della previsione generale dell’art. 33, comma 1, del Codice del Consumo, posto che è difficilmente contestabile che le stesse determinano un significativo squilibrio degli obblighi derivanti dal contratto; si consideri, infatti, che il consumatore, ricevendo la costituzione in mora, rimane esposto all’esercizio di un’azione giudiziale per il termine prescrizionale ordinario di 10 anni in luogo di quello, assai più contenuto, previsto dall’art. 1957 cod. civ.

La terza: va considerato che l’art.1957 c.c. e la clausola di pagamento “a prima richiesta” sono nettamente distinte tra loro e non interagiscono, posto che la norma codicistica disciplina modalità e tempistiche dell’azione del creditore verso il debitore principale idonee a conservare la fideiussione, mentre la clausola “a prima richiesta” attiene all’azione diretta del creditore nei confronti del garante, quindi al rapporto di garanzia. Sul punto il Tribunale di Bergamo con sentenza n.9244/2022 ha affermato che: “Non vi è dunque spazio per ravvisare una (attuale ed operante) autonoma deroga alle modalità con cui il creditore debba intraprendere e continuare iniziative contro il debitore, entro un termine di decadenza dalla scadenza dell’obbligazione principale, non potendosi attribuire alla clausola 6 una duplice valenza ed una duplica portata derogatoria, su entrambe le norme in esame. (…)  Ciò posto, si osserva che i sopra citati articoli del contratto (art. 6, deroga all’art. 1957 c.c. e art. 7, clausola “a prima richiesta”) operano su due piani differenti e agiscono con effetti che incidono su tutele normative diverse (…) Rimane pertanto la necessità -non derogata- che, entro il termine semestrale indicato dalla predetta disposizione, per evitare la decadenza non sia sufficiente la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento; bensì, è appunto necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, secondo la tradizionale esegesi della norma” .

Pertanto, anche qualora si sia in presenza di una “clausola a prima richiesta”, ai fini interruttivi dei termini ex art. 1957 c.c. è necessario il ricorso ad un mezzo di tutela processuale, volto ad ottenere, in via di cognizione o esecutiva, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore verso il debitore principale, e ciò indipendentemente dal loro esito e dalla loro concreta idoneità a sortire il risultato sperato.

Tale conclusione è stata da ultimo confermata anche dall’ordinanza Cass. Civ., Sez. III, 24 agosto 2023, n. 25197 secondo cui “l’istanza del creditore deve necessariamente essere giudiziale, ossia deve consistere in un ricorso ad un mezzo di tutela processuale, volto ad accertare, in via di cognizione o esecutivamente, secondo le forme e nei modi di legge, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore (Cass., sez.1,  22/07/1976, n.2898), indipendentemente dal loro esito e dalla loro concreta idoneità a sortire il risultato sperato (Cass., sez.2, 29/01/2016, n.1724; Cass., sez.3, 20/04/2004, n.7502; Cass. sez. 3 18/05/2001 n.6823). Non costituisce, pertanto, valida istanza ex art.1957 cod. civ., la notifica di un atto stragiudiziale”.

 

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