Utilizza la funzionalità di ricerca interna #finsubito.

Agevolazioni - Finanziamenti - Ricerca immobili

Puoi trovare una risposta alle tue domande.

 

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito
#finsubito news video
#finsubitoagevolazioni
Agevolazioni
Post dalla rete
Vendita Immobili
Zes agevolazioni
   


La Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha disegnato nel 2017 un percorso nomofilattico volto a definire con maggior chiarezza gli elementi costitutivi del reato di bancarotta.

Prima di procedere con un excursus relativo alle ultime pronunce giurisprudenziali afferenti i reati di bancarotta, pare opportuno ricordare che la bancarotta (nella sua accezione più generica) è un reato fallimentare consistente in una attività di dissimulazione del proprio patrimonio reale, oppure in una attività di destabilizzazione del patrimonio stesso, diretta a realizzare un’insolvenza, anche solo simulata, in danno dei creditori. I reati di bancarotta sono disciplinati dalla Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) e successive modifiche. La differenziazione di maggior rilievo intercorre tra bancarotta semplice (artt. 217 e 224, L. Fall.) e bancarotta fraudolenta (artt. 216, 223, L. Fall.), relativa ad una differente intensità della gravità oggettiva e soggettiva. La bancarotta commessa da un imprenditore individuale fallito o da un soggetto diverso dal fallito, viene definita come propria mentre qualora sia commessa da un amministratore, un direttore generale, un sindaco o un liquidatore di una società commerciale è impropria. Sia i fatti di bancarotta semplice che di bancarotta fraudolenta possono essere commessi su beni o su libri o scritture contabili. Nei primi casi si parla di bancarotta patrimoniale (o bancarotta in senso stretto), mentre nell’ultima ipotesi si parla di bancarotta documentale. Per ultimare le distinzioni tra i vari tipi di bancarotta, con il termine prefallimentare ci si riferisce alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale posta in essere prima della dichiarazione di fallimento (art. 216, co. 1 L. Fall.), mentre quella post-fallimentare è, ovviamente, quella compiuta dopo tale dichiarazione (art. 216, co. 2 L. Fall.).

La natura della sentenza dichiarativa di fallimento: verso la nuova definizione giurisprudenziale di condizione obiettiva di punibilità

Due recenti pronunce hanno optato per tale affermazione, da essa traendo alcune importanti conseguenze in tema di prescrizione.

La sentenza n. 13910 del 8/2/2017, Santoro, Rv. 269388- 269389, ha per prima sostenuto che in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità che circoscrive l’area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento.

Ne consegue che il luogo e il tempo della commissione del reato, ai fini della determinazione della competenza territoriale, dei tempi della prescrizione e del calcolo del termine di efficacia dell’amnistia o dell’indulto, coincidono con quelli della sentenza di fallimento. La natura di condizione obiettiva di punibilità, precisa la Corte, comporta l’insindacabilità della sentenza di fallimento, anche sotto il profilo delle eventuali modifiche migliorative della disciplina di fallimento ai sensi dell’art. 2 c.p. La sentenza si confronta apertamente con quello è stato sinora il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, invece, la sentenza dichiarativa di fallimento rientra tra gli elementi integranti la fattispecie di reato (cfr. S.U. n. 1 del 25/01/1958, Mezzo).  In questo risalente arresto giurisprudenziale si legge che, a differenza delle condizioni obiettive di reato, le quali presuppongono un illecito già strutturalmente perfetto, la sentenza dichiarativa di fallimento ne costituisce una condizione di esistenza o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l’esistenza del reato, relativamente a quei fatti commissivi od omissivi anteriori alla sua pronuncia (Sez. V, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi; n.32021 del 07/05/2014, Daccò; n. 15163 del 05/10/2014, dep. 2015, Geronzi).

La questione ha influenzato alcune pronunce come la n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, secondo cui il fallimento costituisce evento – elemento essenziale del reato di bancarotta e deve essere, pertanto, assistito da nesso causale con la condotta distruttiva e da nesso psicologico doloso).

Sentenze successive hanno, invece, ribadito la natura di reato di pericolo caratterizzato da dolo generico del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori declinando la sentenza di fallimento come condizione di esistenza del reato o elemento costitutivo improprio e cioè quasi un tertium genus rispetto alla condizione obiettiva di punibilità ed all’evento (elemento costitutivo) del reato.

Proprio dall’esigenza di fare definitiva chiarezza sul punto nasce la svolta della Cassazione nel preferire l’opzione che offre una maggiore coerenza sistematica.  La pronuncia Santoro (13910/2017) si rifà alle precedenti S.U. Passarelli 22474 del 2016, le quali hanno egualmente escluso la necessità di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (sicché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi). Hanno, peraltro, ribadito che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Si mette in risalto altresì come con la sentenza Passarelli, le S.U. abbiano significativamente aggiunto a tali affermazioni anche la considerazione secondo cui la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo (in caso, appunto, di bancarotta distrattiva prefallimentare) e comunque esterno alla condotta stessa.

La critica alle ragioni di inquadramento della sentenza di fallimento nel novero degli elementi costitutivi della fattispecie, fa leva sulla difficoltà di ipotizzare che rientri tra gli elementi di un reato un provvedimento giudiziale quale è, appunto, la dichiarazione di fallimento; inoltre, l’impostazione tradizionale che si intende superare stride con il principio di personalità della responsabilità penale, non potendo il fallimento in quanto tale essere oggetto di rimprovero per l’agente del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’oggetto della ricostruzione della sentenza in esame si focalizza sull’ipotesi della bancarotta fraudolenta prefallimentare, richiamando la sentenza S.U. n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665 che ha chiarito la disomogeneità delle differenti tipologie di fattispecie di bancarotta individuate dal legislatore.

La sentenza n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, ha infatti aderito alle ragioni motivazionali della Santoro ricostruendo infatti l’elaborazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione sui temi della riferibilità soggettiva delle condotte di bancarotta fraudolenta prefallimentare e sulla compatibilità degli approdi raggiunti con la qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come condizione estrinseca di punibilità. La dichiarazione di fallimento costituisce “un evento successivo” alla distrazione “e comunque esterno alla condotta stessa”, al cui verificarsi è subordinata la punibilità della distrazione. Solo tale qualificazione rende più coerente il sistema nel suo complesso, atteso che necessariamente la condizione estrinseca di punibilità si pone al di fuori della sfera di ricaduta degli elementi costitutivi del reato nel fuoco del dolo, si dovrebbe ripercorrere l’iter di tentare di conciliare la qualificazione della sentenza di fallimento come elemento costitutivo del reato con la sua anomala estraneità ed indifferenza rispetto all’elemento soggettivo del reato stesso, atteso che pacificamente oggetto del dolo non può che essere il fatto costitutivo del delitto in tutte le sue componenti, rispetto alle quali deve sussistere la coscienza e volontà del soggetto agente; non comprendendosi come detta coscienza e volontà possa investire un fatto del tutto estraneo alla sfera volitiva del soggetto. A tal proposito si richiamano le argomentazioni della sentenza della Corte Cost. n.301 del 2005 secondo cui la possibile divaricazione temporale tra momento di realizzazione della condotta materiale dei fatti di bancarotta e loro momento consumativo è situazione consequenziale alla scelta discrezionale del legislatore di configurare la sentenza di fallimento come elemento costitutivo del reato o come condizione obiettiva del reato, ovvero come condizione per la produzione dell’evento costituito dalla lesione o messa in pericolo dell’interesse tutelato dalla norma penale.

segue. La nuova configurazione ed il suo bisogno di consolidamento

E’ evidente che identificare la sentenza dichiarativa di fallimento come condizione obiettiva di punibilità costituisce un importante approdo della giurisprudenza nel 2017. La sentenza Sgaramella (Sez. V, n. 38396 del 2017) seppur non abbia preso posizioni circa la qualificazione giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento ha affermato che la predetta sentenza intesa come condizione obiettiva di punibilità non può “sterilizzare” l’esigenza di una indagine sulla imputabilità soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori (rif. alla bancarotta fraudolenta pre-fallimentare – Sez. V, n. 17819 del 2017, Palitta) con i corrispondenti oneri motivazionali del giudice di merito in proposito.

Fallimento 2018

Su Shop.Wki.it è disponibile il volume:

Fallimento 2018
AA.VV., IL FISCO, 2018

La giurisprudenza sulla struttura dei reati di bancarotta

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, il giudice penale investito del giudizio relativo ai reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti L.F. non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato d’insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previsti per la fallibilità dell’imprenditore, (cfr. Sez. V, n. 10033, del 19/1/2017, Ioghà, Rv. 269454 la quale ha affermato che il giudice penale investito del giudizio sui reati di bancarotta non può sindacare su eventuali errori commessi nel procedimento che ha portato alla sua emanazione). In senso conforme, è possibile riscontrare la Sez. V, n. 48203 del 10/7/2017, Meluzio, Rv. 271274, secondo cui la sospensione del processo penale per bancarotta, disposta a norma dell’art. 479 c.p.p. in attesa dell’esito del giudizio d’impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, non è idonea a sospendere il corso della prescrizione a norma dell’art.159, c.1, n.2, c.p., in quanto quest’ultima disposizione si riferirebbe solo ai casi di c.d. “sospensione impropria”, in seguito alla quale il processo prosegue davanti ad un altro giudice cui sia stata deferita la decisione di una specifica questione pregiudiziale.

L’elemento oggettivo e le possibili condotte di reato

Secondo la sentenza Palitta in cui si è affermato che la bancarotta fraudolenta prefallimentare ha natura di reato di pericolo concreto. La condotta distrattiva deve risultare idonea a mettere in pericolo la consistenza del patrimonio sociale in relazione alle aspettative del soddisfacimento delle ragioni creditorie e tale pericolo deve persistere fino all’epoca immediatamente precedente l’apertura della procedura fallimentare.

La verificazione di un danno patrimoniale ai creditori, dunque, non rientra tra gli elementi strutturali della bancarotta. La sentenza nel ricostruire gli approdi della giurisprudenza di legittimità richiama i principi in tema di c.d. “bancarotta riparata” che negano che resti integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nel caso in cui la somma sottratta dalle casse sociali, riportata da relativa annotazione contabile, sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità – dai soci che l’avevano prelevata –  nelle casse della società prima della dichiarazione di fallimento; infatti, ancorché il delitto di bancarotta abbia natura di reato di pericolo, per l’individuazione del relativo momento consumativo deve aversi riguardo alla dichiarazione giudiziale di fallimento e non già all’atto antidoveroso, con la conseguenza che la valutazione del pregiudizio ai creditori deve essere valutata al momento di tale dichiarazione e non a quello della storica commissione della condotta. Secondo tale ragionamento la bancarotta riparata è il sintomo che l’offensività della condotta è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto e dunque attiene non alla punibilità ma alla oggettività. Ed è proprio sotto tale angolo prospettico dunque che si apprezzano gli orientamenti di legittimità che ammettono la figura della c.d. bancarotta riparata, che elimina dal fatto di bancarotta qualsiasi tipicità offensiva nel caso in cui l’agente neutralizzi il pericolo cagionato con la sua condotta distrattiva mediante un’azione di segno contrario, volta a reintegrare la perdita di consistenza del patrimonio sociale prima che si verifichi il fallimento.

Quanto alla tipologia delle condotte distrattive sembra opportuno segnalare le seguenti sentenze.  Con la pronuncia Sez. V, n. 35591 del 20/6/2017, Fagioli, Rv. 270808 si è affermato che nella nozione di distrazione rientrano anche le condotte che, pur non determinando una fuoriuscita fisica o giuridica di risorse e ricchezza dall’azienda, determinano tuttavia un vincolo per il patrimonio dell’impresa fallita, creando obbligazioni pertinenti alla destinazione di un bene o comunque idonee a riflettersi sul patrimonio nella sua globalità.

Accedendo ad una concezione di patrimonio sociale volta a ricomprendervi non solo i beni appartenenti alla società ma anche quelli concessi ad essa in leasing, la Corte, con la sentenza Sez. V, n. 50081 del 14/9/2017, Zazzini, sulla scia di una giurisprudenza costante ha confermato che anche in relazione a tali beni, in possesso della fallita, è configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, costituendo essi parte del patrimonio sociale. Con riferimento all’oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, si è escluso, che possa costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda ove questo venga identificato con fattori aziendali inidonei a rappresentare una posta attiva di bilancio; si è, altresì, escluso che lo sviamento dei fornitori ad altra azienda possa integrare il reato, dal momento che i rapporti con i fornitori costituiscono un debito per l’azienda (Sez. V, n. 31677 del 4/4/2017, Amato, Rv. 270866).

Si è, invece, affermato che anche la percezione di utili non dichiarati (”in nero”) configuri una condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, sebbene di regola essi siano di spettanza dei soci e non della società, la loro distribuzione occulta, senza la prededuzione dell’onere tributario, dà luogo ad una manomissione della ricchezza sociale in quanto i soci ricevono più di quello che a loro spetterebbe (Sez. V, n. 14522 del 14/11/2016, dep. 2017, Signori, Rv. 269593).

Bancarotta e compensi degli amministratori

Merita una segnalazione particolare la giurisprudenza in tema di bancarotta e compensi degli amministratori. Con riferimento alla condotta dell’amministratore di società di capitali che prelevi somme dalla cassa sociale per pagarsi i compensi professionali, nel 2017 si è dato seguito all’orientamento secondo cui si configura il reato di bancarotta per distrazione nel caso in cui i prelievi fatti in assenza di una previsione statutaria o, in alternativa, di una delibera assembleare di determinazione dei compensi siano sostanzialmente in linea con i compensi spettanti agli amministratori di società simili a quella dichiarata fallita e congrui rispetto al lavoro prestato in base a parametri vari quali l’orario di lavoro osservato, i risultati raggiunti, i compensi eventualmente corrisposti a precedenti amministratori (Sez. V, n. 17792 del 23/2/2017, Rossi, Rv. 269639). Di contro la stessa sentenza ha chiarito che risponde del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e non di quello di bancarotta preferenziale, l’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione.

Bancarotta documentale

Altra pronuncia importante ha riguardato il reato di bancarotta fraudolenta documentale. Ha costituito, infatti, a lungo orientamento costante della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, ai fini della sua configurabilità dovessero ritenersi condotte equivalenti la distruzione, l’occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l’omessa o irregolare consegna al curatore della documentazione e l’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili. Pertanto, per la sussistenza del reato è sufficiente l’accertamento di una di esse e la presenza in capo all’imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari. Il recente orientamento espresso nel 2017 dalla sentenza Sez,. V, n. 18364 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904, in completo disaccordo con pronunce più risalenti, afferma una netta distinzione tra la diade “occultamento – omessa tenuta” delle scritture contabili e la fraudolenta tenuta di tali scritture, che integra una fattispecie autonoma ed alternativa in seno all’art. 216, comma primo, lett.b), L.F. Ciò perché l’occultamento delle scritture contabili (per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori), consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. B), L.F. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi.

La natura dell’aggravante di cui all’art. 219 L.F.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è configurabile l’aggravante di cui all’art.219, c.2, n.1 L.F., anche nel caso di più condotte distrattive compiute in continuità temporale ed aventi ad oggetto lo stesso bene, nella specie, somme di denaro, ciò nel solco del consolidato principio secondo cui nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando  luogo ad un concorso di reati unificati ai soli fini sanzionatori  nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219 c. 1 L.F., disposizione che pertanto non prevede sotto il profilo strutturale una circostanza aggravante ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 c.p. La circostanza aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità” si configura solo se al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave (Sez. V, n. 48203 del 10/7/2017, Meluzio, Rv.271273).

Questioni relative al concorso tra reati

Con riferimento al rapporto tra il reato di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 L.F., la Corte, nella sentenza Sez. V, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019, ha ribadito che le due fattispecie hanno ambiti diversi. La prima postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto. La bancarotta impropria ex art. 223, c. 2 L.F. concerne condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora oltre ad azioni ricomprese nello schema della bancarotta si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento.

Altre interessanti affermazioni si trovano con riferimento al rapporto tra la bancarotta impropria distrattiva ed il reato di malversazione dello Stato, ex art. 316 – bis c.p. Non si può parlare di assorbimento tra le due condotte, le quali concorrono materialmente, rappresentando due segmenti di una progressione criminosa che vede l’agente, in un primo momento, appropriarsi delle somme di provenienza erariale mediante l’incameramento delle stesse nel patrimonio sociale e la conseguente omessa sottrazione al vincolo di destinazione su di esse impresse con l’atto di erogazione ed in un secondo momento distrarre i fondi anche dalla garanzia generica dei creditori (Sez. V, n. 49992 del 17/7/2017, Vanacore). La Corte legge in tali condotte, in primis una “deviazione” delle risorse erariali dalla destinazione pubblica loro propria e, successivamente, una “distrazione” di esse anche dalla ulteriore destinazione “privata” di soddisfacimento delle garanzie dei creditori: sebbene, dunque, nel patrimonio sociale vi siano risorse distratte dalle finalità pubblicistiche in ragione delle quali erano state concesse, la loro sottrazione alle aspettative di soddisfacimento dei creditori integra comunque il reato di bancarotta fraudolenta. Questo arresto è coerente con l’orientamento di legittimità secondo il quale il reato di bancarotta fraudolenta non è escluso dal fatto che i beni distratti appartenenti al patrimonio sociale siano di provenienza delittuosa, in quanto ai fini della sua configurazione deve aversi riguardo alla consistenza del patrimonio sociale a prescindere dalle modalità della sua formazione.

Altro problema che si è posto è quello del concorso dei reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale con i reati tributari previsti dagli artt. 10 e 11 d.lgs. 74/2000.

La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in relazione ai presupposti per l’accertamento del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, disciplinato dall’art. 216 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare). A tale proposito, la Corte ha premesso che del reato di bancarotta documentale (di cui all’art. 217 della Legge Fallimentare) può rispondere “l’amministratore di diritto […] anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita”, in quanto destinatario di un diretto e personale obbligo di diligenza nella conservazione e nella tenuta delle scritture contabili. Siffatta considerazione, però, non si può estendere alla fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, atteso che a quest’ultima non si può applicare il principio secondo cui “una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione”. Infatti, secondo la Corte l’accettazione del ruolo di amministratore apparente (cosiddetta “testa di legno”), per quanto consapevole, “non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto” (Cass. Pen., Sez. V, 5 marzo 2018, n. 9951).

La sentenza n. 35591 del 20/6/2017, Fagioli, Rv. 270810, dopo aver ribadito che l’unico criterio valido per distinguere il concorso apparente di norme dal concorso di reati è quello strutturale fondato sul principio di specialità in astratto di cui all’art. 15 cp ha ammesso il concorso del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11) con quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto le due fattispecie astratte si pongono tra di loro in un rapporto di specialità reciproca: la bancarotta si pone quale lex specialis con riferimento al novero dei soggetti attivi, visto che, mentre il reato tributario può essere commesso da tutti i contribuenti, quello di bancarotta può essere commesso solo da imprenditori. Inoltre è diverso l’elemento soggettivo: dolo specifico per il primo e generico per il secondo.

Stesso dicasi per bancarotta fraudolenta documentale e art. 10 d.lgs. 74/2000. Inoltre, la bancarotta semplice documentale di cui all’art. 217, comma secondo, L.F. nella forma dell’omessa tenuta, assorbe in sé il disvalore oggettivo del reato di omesso deposito delle scritture contabili obbligatorie di cui agli artt. 220 e 16, n. 3 L.F., in quanto, una volta accertato l’inadempimento del presupposto obbligo di tenuta della contabilità è, l’obbligo di deposito delle scritture contabili è inesigibile in quanto avrebbe un oggetto impossibile.

Un’ipotesi abbastanza peculiare è quella secondo cui i delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell’ipotesi di condotte distrattive compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali condotte erano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 c.p., per effetto del rapporto di progressione criminosa esistente fra le fattispecie che comporta l’assorbimento di tale ultimo delitto in quello di cui all’art. 216 L.F. quando il soggetto, a danno del quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa, venga dichiarato fallito.

Bancarotta fraudolenta patrimoniale, rapporti infragruppo e vantaggi compensativi

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, qualora il fatto si riferisca a rapporti fra società appartenenti al medesimo gruppo, il reato deve ritenersi insussistente se, operando una valutazione “ex ante”, i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi e siano tali da rendere il fatto incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della società, tenendo mente al saldo finale positivo dell’operazione infragruppo. E’ il tema dei vantaggi compensativi che si ammette a determinate condizioni, possano far venire meno l’offensività della condotta. Non è sufficiente allegare però la mera partecipazione al gruppo ovvero l’esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l’interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata (ex multis Sez. V, n. 46689 del 30/6/2016, Coatti, Rv. 268675).

Su tali basi nel 2017, la Suprema Corte, con la sentenza 16206 del 2/3/2017, Magno ha confermato il principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo può essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali, censurando la sentenza impugnata che aveva affermato la natura distrattiva del trasferimento di risorse dalla società fallita ad altre società del gruppo, senza considerare la prospettazione da parte dell’imputato di un eventuale vantaggio compensativo per i creditori della fallita conseguente a tale operazione. E’ sufficiente la ragionevole prevedibilità ex ante degli auspicati vantaggi compensativi.

Nel gruppo di società, proprio perché non dà vita ad un unitario centro imprenditoriale dotato di una sua propria soggettività ma costituisce un fenomeno meramente economico, la commissione di più fatti di bancarotta sul patrimonio di tutte le società appartenenti al gruppo, successivamente fallite, ricade sotto l’istituto della continuazione ex art. 81 c. 2 c.p. con la conseguente irrogazione di un aumento di pena per ogni fatto di bancarotta, ulteriore rispetto a quello più grave punito con la pena base, compiuto ai danni delle diverse società (n. 6904 del 4/11/2016, dep. 2017, Gandolfi).

Inoltre, nell’ipotesi di fusione di società per incorporazione, l’amministratore della società incorporante risponde dei fatti di bancarotta della società incorporata, in quanto detta fusione è frutto della scelta degli organi societari delle società partecipanti, tenuti a valutare il complesso dell’operazione anche sotto l’aspetto del rischio derivante dalle condizioni finanziarie negative della società incorporata e la possibilità della incorporante di farvi fronte per evitare la verificazione dello stato di dissesto (n.6904 del 2017, Rv. 269106).

L’elemento soggettivo

Con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale (sent. n. 28396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763) a parte il fatto commesso mediante esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, per il quale è richiesta la sussistenza del dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, il reato è caratterizzato dal dolo generico. La prova dell’elemento soggettivo è collegata all’emersione degli stessi “indici di fraudolenza” che connotano l’elemento materiale del reato, rinvenibili, secondo l’esemplificazione della pronuncia, nella disamina del fatto distrattivo o dissipativo alla luce della condizione finanziaria e patrimoniale dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa si è realizzata; nella cointeressenza dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella “distanza” del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale pur nel rispetto del principio dell’insindacabilità dell’opportunità delle scelte gestorie dell’imprenditore.

Il Fallimento e le altre procedure concorsuali

Sul tema si segnala:

Il Fallimento e le altre procedure concorsuali
Mensile di giurisprudenza e dottrina, IPSOA

(Altalex, 6 aprile 2018. Articolo di Giusy Cardinale)

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Informativa sui diritti di autore

La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni:  la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.

Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?

Clicca qui

 

 

 

Prestiti personali immediati

Mutui e prestiti aziendali

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui

La rete #dessonews è un aggregatore di news e replica gli articoli senza fini di lucro ma con finalità di critica, discussione od insegnamento,

come previsto dall’art. 70 legge sul diritto d’autore e art. 41 della costituzione Italiana. Al termine di ciascun articolo è indicata la provenienza dell’articolo.

Il presente sito contiene link ad altri siti Internet, che non sono sotto il controllo di #adessonews; la pubblicazione dei suddetti link sul presente sito non comporta l’approvazione o l’avallo da parte di #adessonews dei relativi siti e dei loro contenuti; né implica alcuna forma di garanzia da parte di quest’ultima.

L’utente, quindi, riconosce che #adessonews non è responsabile, a titolo meramente esemplificativo, della veridicità, correttezza, completezza, del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale, della legalità e/o di alcun altro aspetto dei suddetti siti Internet, né risponde della loro eventuale contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume e/o comunque alla morale. #adessonews, pertanto, non si assume alcuna responsabilità per i link ad altri siti Internet e/o per i contenuti presenti sul sito e/o nei suddetti siti.

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui