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Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 28 novembre 2012, n. 21110 si pronunciano sugli effetti derivanti dall’originaria inesistenza del titolo esecutivo, o dalla sua successiva caducazione, affermando la tutela del diritto del terzo aggiudicatario.


La pronuncia conclude l’iter giudiziario iniziato con l’opposizione ad un’esecuzione forzata che era stata intrapresa da Equitalia nei  confronti di un privato contribuente. Quest’ultimo era stato destinatario di una procedura di espropriazione per cui gli immobili di sua proprietà erano stati ipotecati e posti in vendita all’incanto. Il contribuente rilevava, in particolare, che l’avviso di liquidazione per omesso pagamento delle imposte, che secondo la concessionaria sarebbero da lui dovute, era stato annullato dal giudice tributario, con sentenza passata in giudicato.


Il tribunale di prime cure accoglieva l’opposizione all’esecuzione, proposta dal preteso debitore ai sensi dell’art. 615 c.p.c., con conseguente declaratoria di inesistenza del diritto di Equitalia ad agire in esecuzione. Tuttavia, lo stesso giudice faceva esplicitamente salvi i diritti medio tempore acquisiti dai terzi aggiudicatari  degli immobili posti in vendita all’incanto.  Quid iuris quando il titolo esecutivo diventa inefficace, per i terzi acquirenti in buona fede?  Fino a che punto è efficace l’acquisto di un terzo aggiudicatario nell’ambito di una vendita forzata, se poi il titolo esecutivo presupposto della vendita risulta inesistente?


Proprio su quest’ultimo punto, ovvero la tutela del diritto dei terzi aggiudicatari, si basa la prima doglianza eccepita nel ricorso in Cassazione, in quanto il giudice di primo grado, pronunciandosi sull’opposizione, ha inteso non solo provvedere circa le ragioni del privato contribuente, ma anche circa la posizione dei terzi aggiudicatari di beni che hanno acquisito il loro diritto in un procedimento già instaurato ma interrotto in seguito all’opposizione, mentre la seconda doglianza si basa invece sulla lamentata erronea applicazione dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., che sancisce l’intangibilità del diritto dei terzi: il ricorrente lamenta l’applicazione di tale norma, introdotta con D.L. n. 35/2005, in quanto il procedimento era stato instaurato dinanzi al giudice di primo grado anteriormente all’entrata in vigore della suddetta. Le questioni sollevate dal ricorrente vengono superate dalle Sezioni Unite con una pronuncia di inammissibilità, in quanto il ricorso presenta una limitazione soggettiva, ovvero il rapporto tra il privato contribuente ed il giudice di prime cure, mancando di chiamare in causa i terzi aggiudicatari, litisconsorti necessari in un procedimento di questo genere. In sostanza, l’affermazione relativa alla salvezza dei diritti dei terzi aggiudicatari non può ritenersi parte integrante della sentenza suscettibile di formare giudicato, ma si riduce ad una semplice considerazione ad abundantiam, senza alcun effetto giuridico reale. Di conseguenza, il ricorso in Cassazione è inammissibile in quanto il ricorrente non ha interesse ad impugnare, giacché l’ipotetica cassazione della sentenza riguarderebbe solo i diritti di terzi che estranei al giudizio non potrebbero essere pregiudicati.


In modo particolare però gli Ermellini si concentrano sulla tutela del diritto del terzo aggiudicatario, e sul conflitto nascente tra quest’ultimo ed il debitore esecutato, consolidando sostanzialmente quanto contenuto nella norma dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., ovvero affermando l’assoluta intangibilità dell’acquisto in buona fede, ma ponendo in risalto la disputa giurisprudenziale e dottrinale sull’art. 2929 c.c., che fa salvi i diritti dei terzi acquirenti in buona fede, tranne in caso di collusione tra questi ed il creditore procedente. Orbene, parte della dottrina propende per un’interpretazione restrittiva di questa norma, Secondo l’orientamento maggioritario, infatti, l’art. 2929 c.c. trova applicazione solo quando si riscontrino vizi formali relativi agli atti esecutivi anteriori all’acquisto o all’assegnazione, e non quando sia emersa, invece, l’inesistenza del diritto stesso del creditore, come nel caso di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.


In sostanza, secondo la Corte di Cassazione, in mancanza di un idoneo titolo esecutivo, non risulterà viziato il procedimento, ma il preteso creditore non potrà agire esecutivamente in quanto mancherebbe la condizione dell’azione esecutiva; il diritto del terzo acquirente o aggiudicatario del bene pignorato  si fonda sull’esito di un procedimento valido, quindi questi acquisterà validamente in quanto l’atto dal quale deriva il suo diritto, nel momento in cui interviene, si configura come un atto perfettamente legittimo e regolare. Al pari di quanto accade in caso di dichiarazione di fallimento poi revocata per difetto delle condizioni, il diritto del terzo resta salvo.


In conclusione, può quindi affermarsi il principio contenuto nell’art. 2929 c.c. e la totale salvaguardia del diritto del terzo acquirente in buona fede.


(Altalex, 17 dicembre 2012. Nota di Mauro Lanzieri)

 

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