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Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha recentemente affermato che anche le cessioni di partecipazioni sociali possono essere considerate alla stregua di una distrazione ai sensi dell’art. 216 co. 1, n. 1 L.F., precisando che la valutazione sulla rilevanza penale relativa alla precitata condotta debba tener conto delle condizioni proprie del settore di appartenenza della società al momento in cui viene posta in essere l’operazione di cessione.

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia resa dal Giudice di Forlì all’esito del giudizio abbreviato, confermava la condanna nei confronti di quattro amministratori per il reato bancarotta fraudolenta distrattiva e limitatamente nei confronti di due dei predetti anche per il reato di bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento. Tramite ricorso per Cassazione gli imputati lamentavano la mancata integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale ritenendo il valore delle partecipazioni sociali congruo in ragione della situazione di crisi in cui versava, al momento della cessione, il settore economico di riferimento della Società. Sotto tale profilo rilevano, infatti, i ricorrenti come, alla luce della crisi in essere, il valore fosse certamente inferiore al valore stimato da una perizia redatta quattro anni prima.

I motivi di ricorso censuravano anche le motivazioni della sentenza che riguardavano la condanna per l’ipotesi di bancarotta semplice che sarebbe stata emessa non dando adeguato rilievo alla circostanza che la condotta omissiva degli amministratori si sarebbe verificata in una fase di mero indebitamento e non di conclamata insolvenza di talché non vi sarebbe stato alcun obbligo di richiedere il fallimento.

La Cassazione, in accoglimento dei ricorsi, ha affermato che con riferimento alla fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva ai fini della valutazione relativa al valore delle partecipazioni sociali deve essere necessariamente tenuto in considerazione l’eventuale stato di crisi del settore di appartenenza della società e inoltre che, nel caso di specie, il valore delle partecipazioni, asseritamente oggetto di distrazione, non poteva essere ritenuto sproporzionato unicamente sulla base del valore stimato dall’atto di conferimento delle quote senza che fossero state prese in esame le successive vicende societarie che hanno inevitabilmente mutato lo stato di salute della Società. Quanto al delitto di bancarotta semplice, poi la Corte ritiene non accertata la responsabilità degli amministratori, avendo il Giudice a quo omesso ogni valutazione o motivazione sull’esatta datazione dello stato di insolvenza, sull’imputabilità del predetto stato di insolvenza al consiglio di amministrazione nonché sulle conseguenze in termini di aggravamento del dissesto riconducibili all’omessa dichiarazione di fallimento.

Ebbene, alla luce delle considerazioni edotte, la Suprema Corte annulla la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello, sollecitata sulla base degli indici forniti dalla giurisprudenza ad una corretta verifica e datazione dello stato di insolvenza nonché a determinare, per quel che concerne il giudizio sull’imputazione di bancarotta fraudolenta distrattiva, il valore delle partecipazioni sociali sulla base dello “stato di salute” del settore di appartenenza della società nel momento storico in cui l’operazione è stata posta in essere.

*a cura dell’Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia)

 

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