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Decreto salva casa, maxi-sanatoria o mini-condono? L’analisi 

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il decreto legge n. 69/2024, meglio noto come “Decreto Salva Casa”, per espressa definizione data dal Ministro che l’ha proposto. E’ ora quindi possibile fare qualche rapida osservazione, non sulle varie bozze, comunque risultate attendibili, del provvedimento che sono finora circolate, ma sul testo legislativo, magari utile quale spunto di riflessione in sede di conversione in legge del decreto. Le novità della riforma sono diverse. Si va dalle “tolleranze costruttive ed esecutive” agli interventi di edilizia libera, passando per i mutamenti di destinazione d’uso. In questi giorni se n’è parlato diffusamente, anche sui giornali.

Probabilmente, la maggiore di queste novità è quella del passaggio dal c.d. “silenzio rigetto” al c.d. “silenzio accoglimento” sulle istanze di sanatoria, che, del resto, lo stesso Ministro proponente, nel corso di una conferenza stampa governativa, ha definito come una “rivoluzione culturale liberale”. Una precisazione preliminare su cosa sia, in generale, questo “silenzio” appare opportuna. Se un cittadino chiede il rilascio di un provvedimento alla Pubblica Amministrazione e questa non risponde entro un determinato termine, la legge può qualificare questo silenzio in termini di accoglimento o di rigetto dell’istanza. In altre parole, la legge equipara l’inerzia dell’Amministrazione al rilascio di un formale provvedimento (favorevole o sfavorevole, a seconda dei casi).

Sinora, per le istanze di sanatoria degli abusi edilizi realizzati, o, meglio, di “accertamento di conformità”, la regola era quella del “silenzio rigetto”. Se l’Amministrazione non rispondeva entro un determinato termine (60 giorni) l’istanza doveva considerarsi rigettata (art. 36, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001). A quel punto, l’interessato, se voleva, poteva impugnare il provvedimento tacito di rigetto davanti al T.A.R. oppure al Capo dello Stato. Con il decreto “Salva Casa” la situazione si capovolge per quanto riguarda gli abusi edilizi minori (resta immutata, invece, per gli abusi più gravi). Se l’Amministrazione non risponde entro un determinato (45 giorni in caso di richiesta di permesso di costruire, oppure 30 giorni in caso di SCIA), l’istanza di accertamento di conformità si intende accolta (art. 36 bis, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001 introdotto dal “Salva Casa”), e, quindi, sanati gli abusi edilizi.

A quel punto, il privato potrà chiedere alla stessa Amministrazione una sorta di attestazione dell’avvenuto accoglimento tacito dell’istanza di sanatoria e, se non riceve tempestivamente tale attestazione, lo stesso privato la potrà autodichiarare (art. 20, comma 2 bis, legge n. 241 del 1990, v. anche art. 20, comma 8, d.P.R. n. 380 del 2001). Le considerazioni da farsi al riguardo sono almeno due, mi sembra. La prima è che in mancanza del rilascio dell’attestazione di cui sopra alcune delle problematiche che il decreto voleva risolvere (come, ad esempio, la migliore commerciabilità degli immobili) non verrebbero superate. Quanti acquisterebbero un appartamento senza alcun provvedimento ufficiale ma fidandosi solo della parola del venditore che assicura che gli abusi sono stati tacitamente sanati? Quante banche concederebbero un mutuo accettando in garanzia un immobile tacitamente sanato solo sulla parola del mutuatario? La via per ottenere tale attestazione sarebbe quella di agire davanti al T.A.R. contro il “silenzio inadempimento” (cioè l’inerzia dell’Amministrazione che non viene qualificata in nessun modo alla legge) sull’istanza di rilascio dell’attestazione del “silenzio accoglimento” sull’istanza di sanatoria. In pratica, una specie di uroboro.

La seconda considerazione è che il congegno procedimentale del “silenzio accoglimento” potrebbe portare ad una sanatoria indiscriminata degli abusi, anche di quelli che non sarebbero sanabili a termini di legge, a causa dell’incapacità dell’Amministrazione (che, in alcuni casi, potrebbe pure essere giustificata, come, ad esempio, nell’ipotesi di personale ridotto o di carichi di lavoro gravosi) di concludere il procedimento nei ristretti termini di legge.

Fino a qualche anno fa, la giurisprudenza amministrativa riteneva che un’istanza del privato poteva ritenersi tacitamente accolta, dopo lo spirare invano del termine di legge, solo qualora tale istanza fosse stata effettivamente accoglibile. In pratica, l’istanza di sanatoria avrebbe potuto considerarsi tacitamente accolta, con il decorso del tempo stabilito per la conclusione del procedimento, solo se l’opera edilizia fosse stata comunque effettivamente sanabile. Diversamente, anche in mancanza di risposta da parte della Pubblica Amministrazione nei termini di legge, il silenzio – assenso non si perfezionava

Da qualche anno, invece, si va consolidando un orientamento giurisprudenziale secondo cui, salvo casi particolari, la conformità dell’opera edilizia alla normativa urbanistica non è necessaria ai fini della formazione del silenzio assenso, essendo sufficiente a tali fini il solo decorso del tempo (cfr., ad es., Cons. Stato, sentenze del 22.05.2023 e del 08.07.2022; T.A.R. Milano sentenza del 11.09.2023).

Il timore, giustificato, direi, è che, alla luce delle note inefficienze di molti uffici pubblici, un simile orientamento giurisprudenziale, di per sé condivisibile, saldandosi con il nuovo meccanismo generalizzato del silenzio accoglimento voluto dal “Salva Casa”, potrebbe far sì che un abuso edilizio verrebbe sanato, non perché sanabile, ma solo per l’incapacità dell’apparato burocratico di concludere il procedimento nei termini di legge.

E allora, sì, che si tratterebbe di un condono mascherato, visto che verrebbe sanato anche l’insanabile. E che si tratti di abusi “minori” non sposta i termini della questione. L’unico rimedio, a quel punto, sarebbe l’annullamento, in autotutela, da parte della stessa Amministrazione, della sanatoria tacita entro un anno dal momento in cui il silenzio accoglimento si è perfezionato (artt. 20, comma 3, e 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990). Ma, in tal caso, è facile prevedere un infittirsi del contenzioso giurisdizionale.



Marco Palieri

*Laureato in Giurisprudenza, Marco Palieri è un avvocato amministrativista: si occupa principalmente di ambiente e rifiuti, appalti pubblici, autorizzazioni e concessioni, edilizia ed urbanistica, elettorale, energie rinnovabili, portualità, espropriazioni, finanziamenti e sovvenzioni,  project financing, pubblico impiego, sanità, servizi pubblici, trasporti e università. Palieri è anche patrocinante davanti alle Magistrature Superiori (Cassazione, Consiglio di Stato, ecc.); dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia; arbitro della Camera Arbitrale presso l’ANAC e docente in master universitari in materia di contratti pubblici. 



 

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