Soave
Al viticoltore soavese, 85 anni, hanno riconosciuto il suo grande lavoro in difesa della biodiversità, non solo viticola
Sul campo. Il regista ed i suoi collaboratori tra le vigne con Antonio Tebaldi e la moglie Savina
Antonio Tebaldi, 85 anni di Soave, ha salvato il vitigno Brepona e con esso è finito in un documentario americano. Al viticoltore soavese non bastavano probabilmente articoli, interviste e libri che, solo recentemente, hanno riconosciuto il suo grande lavoro in difesa della biodiversità, non solo viticola. È diventato anche il protagonista di un docufilm che avrà diffusione internazionale.
La parte che lo riguarda è appena stata girata dal regista americano Theron Patterson, direttore del Dipartimento di Cinema dell’American University of Roma.
Internazionale
Un docufilm che Patterson sta già realizzando nell’ambito del suo progetto di ricerca, ideato e dedicato alle storie dei «vitigni perduti» del territorio italiano. Il progetto è ispirato al prezioso lavoro di ricerca e comunicazione effettuato dall’associazione Graspo – Gruppo di Ricerca Ampelografica per la Salvaguardia e Preservazione dell’Originalità Viticola di Soave.
Questo lavoro sarà occasione per i suoi studenti di filmmaking di seguire il loro docente e regista in giro per l’Italia e sperimentare sul campo le diverse tecniche cinematografiche, nel documentare le più antiche e caratteristiche vigne d’Italia. Le riprese per la testimonianza di Tebaldi sono iniziate sotto Porta Verona, dove nel fruttaio per la prima volta state appese anche le uve di Brepona con la Garganega e poi sono terminate nella sua vigna con accanto la moglie Savina.
Storia
Garganega, Trebbiano e Brepona sono i tre vitigni storici con i quali da sempre si realizza il Recioto di Soave, prima Docg riconosciuta nel Veneto, come spiega la nuova targa voluta dagli «Amici delle Antiche Torri», allestitori del fruttaio più fotografato d’Italia. La Garganega è sicuramente il vitigno più importante ed identitario: si tratta di una varietà strategica nel panorama ampelografico italiano essendo genitore di tantissimi altri vitigni. Nelle colline del Soave ha trovato il suo ambiente ideale per esprimere la sua unicità. II Trebbiano di Soave, è un vitigno più precoce e raro e con la sua sapidità completa la forza ed il carattere della Garganega. Quello che non tutti sanno è che queste terre fortunate, sono anche la culla di un terzo vitigno recentemente iscritto al Registro nazionale ed oggi pronto a riprendere il suo ruolo strategico all’ombra del castello.
«Questo vitigno si chiama Brepona», racconta Antonio Tebaldi, che ha sempre avuto una particolare costanza e una lungimirante sensibilità per la conservazione ed il recupero del patrimonio viticolo originario del suo territorio. Nei suoi vigneti in località Burgan, si trovano infatti numerose viti, che oggi sono del tutto dimenticate se non praticamente estinte, come Marcobona, Rabiosa, Cavrara, Rossa Burgan, il suo vitigno del cuore: «Quest’ultimo è sempre stata una singolare varietà a bacca bianca che ho chiamato Brepona», racconta l’ottantacinquenne. «È un vitigno la cui coltivazione è ampiamente segnalata negli areali tradizionali veronesi e da una copiosa bibliografia: era noto nel passato anche con il nome di Breppon, Brepon Molinara, o Molinara bianca».
Il «salvataggio»
«Per tanto tempo si è creduto infatti che questo vitigno non fosse altro che una mutazione spontanea della Molinara», illustra Tebaldi. «Possono essere riscontrate delle analogie tra queste due varietà, sia per la dimensione del grappolo, sia per gli acini che si presentano molto spargoli, ma soprattutto per l’evidente pruina (velo di polverina sui chicchi) che le caratterizza». «Ma ciò che più le lega è che entrambe», spiega Tebaldi, «per la loro particolare esuberanza vegetativa, sono utilizzate nelle testate dei filari per ottimizzare al meglio la copertura totale del terreno. Un vitigno sicuramente storico, in particolare del territorio soavese e delle vallate limitrofe del Tramigna e di Illasi, dove spesso veniva confuso, ma che è rimasto per tanto tempo in ombra».
La «Brepa» che regala il vino paglierino
Il suo nome è sicuramente da ricondurre al termine dialettale «Brepa» cioè pruina, una caratteristica che contraddistingue questa varietà. Tebaldi ricorda quando veniva richiesto dai mediatori per conto della prestigiosa cantina Bolla, che tra i vitigni preferenziali per fare il bianco Soave, nel secondo dopoguerra, oltre alla tradizionale Garganega, la sapida Turbiana (oggi Trebbiano di Soave), volevano anche la speziata Brepona. Il vino che ne deriva è giallo paglierino ed ha una predisposizione a lunghi affinamenti.
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