È notizia di questi giorni: il Tribunale di Firenze ha ordinato al Comune di Pisa di iscrivere all’anagrafe un cittadino straniero che, trasferitosi in città, aveva chiesto la residenza ma aveva ricevuto un rifiuto dagli uffici di Palazzo Gambacorti. I giudici, riconoscendo l’infondatezza di tale rifiuto, hanno condannato l’amministrazione al pagamento delle spese processuali.
Si tratta di una piccola vicenda, che però evidenzia un problema ben più ampio: quello dei criteri con cui il Comune di Pisa riconosce o non riconosce la residenza a coloro che abitano sul territorio. Nel caso specifico, il richiedente era in possesso di regolari documenti di soggiorno, aveva preso in affitto una casa, e la Polizia Municipale aveva verificato la sua effettiva presenza nell’abitazione: c’erano dunque tutti gli elementi per procedere all’iscrizione anagrafica. Gli uffici, però, avevano sollevato una serie di obiezioni: lo straniero voleva chiedere la cittadinanza perché aveva dei parenti italiani, e si era trasferito a Pisa per seguire le pratiche burocratiche di acquisizione della nazionalità; dunque, secondo Palazzo Gambacorti, la domanda di residenza era puramente strumentale, e non indicava una reale volontà di vivere sul territorio.
I magistrati hanno chiarito però che non spetta all’Amministrazione entrare nel merito delle motivazioni soggettive dei richiedenti: chi vive stabilmente in un luogo ha diritto a prendervi la residenza, quali che siano le ragioni che lo hanno spinto a trasferirsi. La residenza – ha spiegato in buona sostanza il Tribunale – è un diritto, non una “concessione” che gli uffici possono negare sulla base di considerazioni discrezionali.
Il provvedimento dei magistrati di Firenze è un campanello d’allarme che deve sollecitare tutta l’amministrazione: perché troppi sono stati, in questi anni, i casi in cui la residenza è stata negata con motivazioni pretestuose. Spesso le categorie più vulnerabili – dai senza fissa dimora alle popolazioni rom, dai richiedenti asilo ai cittadini stranieri – non riescono a ottenere l’iscrizione anagrafica: i giudici hanno chiarito che tutto questo è contrario alla legge.
Ed è proprio in nome del rispetto della legge – in nome di quella “legalità” che il Sindaco e la Giunta agitano spesso a fini di propaganda, salvo poi disattenderla quando si tratta di proteggere le fasce sociali più deboli – che noi chiediamo di cambiare in profondità le prassi relative all’iscrizione anagrafica. Chiederemo perciò al Consiglio Comunale di avviare, assieme agli uffici competenti, una discussione approfondita su questo tema.
La residenza non è solo un diritto: è il “diritto ad avere diritti”. Perché solo chi è residente può avere un medico di famiglia, può iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale, può chiedere una casa popolare o un alloggio di emergenza. Negare la residenza significa escludere una persona o una famiglia dall’accesso a questi diritti. Per noi, è un comportamento inaccettabile. Adesso i giudici hanno chiarito che è anche illegale. Se ne traggano tutte le conseguenze.
Fonte: Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione Comunista
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