La sentenza a commento tratta della infrazionabilità del credito, ovvero il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per le singole poste risarcitorie.
I fatti
La Corte di Appello di Bari, confermando la decisione di primo grado del Tribunale, rigetta la domanda del lavoratore inerente l’asserito demansionamento posto in essere dal datore di lavoro Regione Puglia.
Sia il Tribunale che la Corte di appello, come detto, rigettano la domanda: entrambi i Giudici danno atto che in un precedente giudizio (RG 15068/2008) il lavoratore aveva già adito l’autorità giudiziaria, prospettando le medesime condotte demansionanti alla base anche del presente contenzioso, chiedendo la reintegra negli incarichi dirigenziali precedentemente ricoperti o il conferimento di incarichi dirigenziali maggiormente confacenti alla sua professionalità oltre alla condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno non patrimoniale.
Quindi, il Tribunale di Bari, nella sentenza poi confermata da quella di appello, rigettava la domanda del lavoratore, ritenendo violato il principio del divieto del frazionamento del credito cristallizzato nella pronunzia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 23726/2007.
La Corte d’appello precisava, inoltre, in adesione all’orientamento indicato da Cass. n. 4090/2017, che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma “ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (…)“.
L’intervento della Cassazione
Inutile l’invocato intervento della Corte di Cassazione, che rigetta in toto le censure del lavoratore (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, 22 ottobre 2024, n. 27370).
Viene lamentato ai Giudici di Cassazione che la decisione di appello avrebbe erroneamente affermato che è stato violato il principio di infrazionabilità del credito, tanto in ragione della notazione che solo nel presente giudizio è stato richiesto, per la prima volta, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale anche il risarcimento di quello patrimoniale.
Sostiene al riguardo che, in ragione della diversità dei crediti e del fatto costitutivo degli stessi (essendo il danno patrimoniale completamente diverso da quello non patrimoniale), poteva essere proposta per ciascuno di essi un’azione diversa. Evidenzia la conformità dell’assunto agli insegnamenti di Sez. Un. n. 4090 del 2017 in cui si è, infatti, esclusa la violazione del principio di infrazionabilità del credito sulla base del rilievo che il lavoratore aveva agito nei due distinti processi per due crediti diversi, benché relativi al medesimo rapporto di durata tra le parti, nella specie al rapporto di lavoro: il primo credito, infatti, si ricorda, atteneva al T.F.R., il secondo, invece, al premio di fedeltà, ovvero due crediti fondati su fatti costitutivi diversi.
Innanzitutto, la S.C. osserva che in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale sull’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si deve riferire a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta.
Il principio di infrazionabilità del credito
Ne consegue che, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di pregiudizio, a tale indicazione deve riconoscersi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà attorea di escludere dal petitum le voci non menzionate.
Il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può, detto in altri termini, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per le singole poste risarcitorie, né mediante riserva di farne valere ulteriori e diverse in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto con il generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale, salvo che risulti in capo all’attore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
Questo significa che la domanda risarcitoria, pur in assenza di una specifica ed espressa manifestazione di volontà dell’attore, comprende tutti i possibili pregiudizi eziologicamente riconducibili all’inadempimento o al fatto illecito.
Il principio di cui sopra riverbera conseguenze anche con riguardo all’efficacia giuridica del giudicato che, come noto, copre il dedotto ed il deducibile.
Infatti, l’unitarietà del danno, l’estensione della domanda anche alle poste non espressamente azionate e la ristorabilità dei danni ulteriori che abbiano avuto a verificarsi nel corso del giudizio hanno quale evidente conseguenza l’improponibilità di nuove azioni risarcitorie nelle quale il fatto generatore (condotta inadempiente o illecita) sia lo stesso posto a fondamento della primigenia domanda oggetto di giudicato.
Unica eccezione alla infrazionabilità del credito è costituita dall’ipotesi in cui la condotta illecita sia perdurante, il danno di cui si chiede il risarcimento sia nuovo ed autonomo (e non mero aggravamento di quello già prodotto) ed eziologicamente riconducibile alla porzione di azione sopravvenuta al giudicato.
Avv. Emanuela Foligno
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