Ecco i due discorsi (in forma integrale) dei rettori Gian Carlo Avanzi e Menico Rizzi pronunciati durante la cerimonia del passaggio di consegne alla guida dell’Università del Piemonte Orientale di martedì 29 ottobre al Teatro Civico.
Gian Carlo Avanzi ai saluti
Quando abbiamo approvato il Piano strategico all’inizio del mio mandato, le parole chiave interdisciplinarità e contagio delle idee costituivano un importante filo conduttore. Avevo in mente il pensiero del chimico e fisico russo Ilya Prigogine, premio Nobel nel 1977, che grazie ai suoi studi sulla termodinamica si rese conto di non poter prescindere da altre discipline. Diceva: «Quando consideriamo le grandi sfide che l’umanità ha oggi di fronte, ci accorgiamo di aver bisogno di un approccio interdisciplinare. È molto importante enfatizzare la fine della frammentazione, o almeno il suo superamento».
In questi anni abbiamo creduto nel ruolo dell’interdisciplinarità come fattore di innovazione e di sviluppo del nostro Ateneo. L’abbiamo applicato alla ricerca, alla didattica e all’organizzazione dell’Ateneo con risultati del tutto soddisfacenti. Durante la pandemia abbiamo lanciato decine di progetti di ricerca che hanno coinvolto numerose discipline.
La complessità è stata premiata nei bandi di finanziamento alla ricerca della Regione Piemonte; ringrazio l’Assessore Matteo Marnati di averci sempre sostenuto. Abbiamo istituito su questo principio nuovi corsi di studio, come Giurisprudenza per l’economia e l’impresa, Cibo, salute ed ambiente, Chimica verde, Gestione ambientale e sviluppo sostenibile, Filosofia politica e studi culturali, Intelligenza artificiale e altri ancora. Abbiamo inoltre fondato il Dipartimento per la sostenibilità e la transizione ecologica, che ha allineato prospettive di studio da ogni punto di osservazione e si è popolato di studiosi di numerosi settori disciplinari. Abbiamo rilevato un notevole aumento della creatività nella ricerca nel nostro Ateneo, un miglioramento della qualità della didattica riconosciuta dal giudizio dei nostri laureati e una sempre crescente attrattività per studenti e ricercatori.
Una seconda parola chiave nel nostro piano strategico era la centralità delle studentesse e degli studenti, il sole intorno al quale ruota il nostro sistema. Abbiamo lavorato molto per ottimizzare i poli formativi, dotandoli di nuove strutture, migliorando le aule, unificando le biblioteche, creando nuovi servizi insieme all’Ente Regionale per il Diritto allo Studio, con cui abbiamo tessuto un rapporto di forte collaborazione. Ringrazio molto il Presidente Alessandro Sciretti, per aver sostenuto la realizzazione della nuova mensa a Vercelli, pronta entro il 2025, e lo studentato a Novara nell’ex centro sociale, grazie al determinante aiuto del Sindaco di Novara Alessandro Canelli.
C’è stata una collaborazione fattiva anche con gli altri atenei piemontesi, i cui Rettori ringrazio per avermi affidato la presidenza del Comitato di Coordinamento. Questo ruolo ci ha consentito di affrontare numerose sfide, come quelle determinate dalla pandemia: la chiusura e la riapertura degli Atenei, le modalità di lezione e di esame, le borse di studio, l’assegnazione dei posti letto per le studentesse e per gli studenti meritevoli e bisognosi, la copertura finanziaria di questi servizi. C’è stata una comunità d’intenti tra i vertici della Regione Piemonte, nelle figure del Presidente Alberto Cirio e dell’attuale Vicepresidente della Regione Elena Chiorino, che ringrazio, l’EDISU e i Rettori Stefano Geuna e Guido Saracco, con cui abbiamo realizzato un grande progetto di sviluppo della residenzialità studentesca piemontese, riconosciuto dal Ministero.
Ci siamo impegnati a garantire alle studentesse e agli studenti una buona qualità dei corsi di studio e la migliore qualità di vita, grazie alla efficiente collaborazione della rappresentanza studentesca negli organi collegiali, cui va il mio sentito ringraziamento. Uno sforzo particolare è stato quello di dotare Alessandria di un vero e proprio campus universitario. Abbiamo da poco attribuito a un autorevole studio di architettura il progetto di fattibilità tecnico-economica ed entro la primavera del 2025 potrà essere avviata la procedura per l’assegnazione della costruzione, un’opera del valore di oltre 60 milioni che porterà alla rigenerazione urbana del Quartiere Orti in quella città.
Anche a Vercelli abbiamo accantonato i fondi per il funzionamento dell’ex Macello, completamente ristrutturato dal Comune per la sede del Dipartimento per lo Sviluppo sostenibile e la transizione ecologica, grazie all’impegno dell’ex sindaco avvocato Andea Corsaro e dell’attuale sindaco avvocato Roberto Scheda, che ringrazio. Termineremo i lavori per il campo da calcio e da padel al San Giuseppe e acquisiremo la palazzina G, che ancora appartiene al Politecnico di Torino. Stiamo concludendo le trattative per acquisire palazzo Tartara, completamente ristrutturato a nostre spese, e dovremo ancora attendere un po’ per l’apertura del nuovo polo bibliotecario che unirà i patrimoni librari dell’Università e del Comune di Vercelli.
Infine, a Villa San Remigio a Verbania, vero gioiello architettonico e di paesaggio, inizieranno presto i lavori per la costruzione della foresteria a favore delle nostre attività di alta formazione. Tra fondi di Ateneo, contributi del MUR e contributi statali abbiamo, in buona sostanza, investito oltre cento milioni di euro in sei anni.
Le grandi opere di sviluppo, non solo edilizio, sono compiute con il contributo determinante del personale tecnico-amministrativo-bibliotecario, che rappresenta la spina dorsale del sistema universitario. Si è riorganizzata la struttura amministrativo-bibliotecaria, si sono revisionati i processi e si è avviato lo sfidante progetto di digitalizzazione dell’Ateneo.
Penso che con la ristrutturazione dei Poli sia stato fatto un gran bel lavoro: è stato applicato un metodo scientifico, che ha coinvolto tutto il personale, con interviste e focus group, l’enucleazione dei problemi e la formulazione delle soluzioni più appropriate. Ringrazio la professoressa Chiara Morelli e il professor Roberto Candiotto con le loro assistenti, il professor Andrea Turolla, che nel ruolo di Direttore generale del primo triennio ha avviato il processo di analisi, e, soprattutto, la dottoressa Loredana Segreto, che ha raccolto il lavoro svolto fino ad allora e realizzato la riforma. C’è ancora qualcosa da migliorare, ma già oggi sono evidenti le procedure semplificate, la maggiore trasparenza e accountability, la maggiore efficienza e celerità nei processi, l’aumento della soddisfazione dei portatori d’interesse.
In questi anni, grazie a una politica di sviluppo di alcuni ministri che si sono avvicendati, abbiamo avuto la possibilità di investire in persone. Abbiamo assunto docenti, ricercatrici e ricercatori, dandoci linee guida sulle progressioni di carriera e favorendo il reclutamento dei giovani. Abbiamo applicato regole stringenti per la distribuzione delle facoltà assunzionali ai dipartimenti, che tenessero conto di parametri che l’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca utilizza per l’analisi delle performance degli Atenei, come il costo standard degli studenti, la loro numerosità nei vari corsi di studio e i risultati della valutazione della qualità della ricerca.
In sei anni siamo cresciuti di circa cento unità di personale docente e ricercatore e 138 hanno ottenuto avanzamento di carriera. Abbiamo assunto un centinaio di persone nel ruolo tecnico-amministrativo-bibliotecario; abbiamo ripreso le progressioni verticali, di cui hanno beneficiato decine di dipendenti e, grazie alla recente firma del Contratto integrativo, abbiamo avviato le procedure per le progressioni orizzontali, che auspicabilmente coinvolgeranno, nel giro di quattro anni, la pressoché totalità del personale. Voglio ringraziare le organizzazioni sindacali, con cui ho avuto modo di trattare continuativamente. Ci sono stati momenti di divergenza e di tensione, ma ogni volta abbiamo trovato insieme una mediazione che salvaguardasse gli esclusivi interessi del personale. Sono particolarmente orgoglioso di aver realizzato un meccanismo di attribuzione del fondo comune di ateneo basato sul merito e di aver istituito il fondo per la premialità. Sono grato alla professoressa Fabrizia Santini, che con grande competenza mi ha assistito nel mio ruolo di datore di lavoro.
Sono pure fiero di essere riuscito a incrementare le posizioni dirigenziali. Quando ho preso servizio come Rettore c’era un solo dirigente, il dottor Paolo Pasquini, che ricordo con stima ed affetto; attualmente, lascio l’Ateneo con sei dirigenti, a capo di altrettante divisioni.
Da quasi quarant’anni, ormai, si discute di “sviluppo sostenibile”, termine con cui s’intende un processo di sviluppo economico e sociale, che nel lungo periodo possa garantire la massima diffusione del benessere sociale, compatibile con equilibrate interazioni tra le condizioni economiche, ambientali e sociali. Mi viene da domandare se il nostro inequivocabile sviluppo sia stato e sia sostenibile. Credo di poter rispondere di sì.
Siamo partiti dalla base solida che ci ha lasciato il mio predecessore professor Cesare Emanuel e in questi anni abbiamo incrementato gli introiti, sia in termini di Fondo di Finanziamento Ordinario statale, sia in termini di incremento di studenti iscritti e di contribuzione studentesca, sia in termini di finanziamento alla ricerca da bandi competitivi. Abbiamo promosso una politica oculata di accantonamenti degli avanzi positivi di bilancio, che ci sono serviti, al momento buono, per co-finanziare progetti con altri enti, come la Regione Piemonte, l’EDISU o il Ministero dell’Università.
Il quadro che ne risulta è quello di un ateneo in crescita che ha i conti a posto, con una importante riserva in Tesoreria dello Stato, in grado di affrontare il futuro con serenità. Lo confermano i numeri degli indicatori ministeriali che vengono utilizzati per valutare l’andamento economico degli Atenei: un rapporto tra spesa generale e spesa per il personale ci pone tra i migliori 7 Atenei in Italia; questo dato, insieme agli altri indicatori di sostenibilità degli enti pubblici, come la tempestività nei pagamenti delle fatture, sono stati, come ricorderete, illustrati durante la visita del Presidente della Repubblica all’Inaugurazione dell’Anno Accademico. Ritengo che anche quest’anno il bilancio consuntivo, che sarà discusso dal rettore Menico Rizzi in primavera, sarà chiuso con un avanzo positivo, che potrà essere accantonato per ulteriori investimenti.
Abbiamo ancora sul tavolo alcuni progetti nei quali UPO è coinvolta non realizzati, come la Città della Salute e della Scienza di Novara e il nuovo Ospedale di Alessandria, Ringrazio i Direttori Generali delle due aziende ospedaliero-universitarie, con cui abbiamo lavorato molto e bene in questi anni, ancora una volta il Presidente regionale Alberto Cirio e l’attuale presidente della commissione Sanità, già assessore Luigi Icardi, con i quali abbiamo affrontato la pandemia in tutte le sue implicazioni, abbiamo lavorato sulla presenza dei medici specialisti e specializzandi in aree disagiate della regione, abbiamo realizzato numerosi protocolli e l’Azienda Ospedaliero-universitaria di Alessandria.
In tutto questo è sempre risaltato un clima di collaborazione davvero efficace, che del resto si è stabilito con gli altri Rettori degli atenei piemontesi e lombardi, con le province, i comuni, le fondazioni, le imprese e le associazioni, con cui abbiamo realizzato numerosi progetti di terza missione.
Avremmo potuto fare meglio su alcuni temi, come quello dell’internazionalizzazione; sono ancora poche le studentesse e pochi gli studenti che trascorrono periodi all’estero e le studentesse e gli studenti stranieri che si iscrivono da noi. Abbiamo solo avviato l’iter di costituzione della Fondazione UPO con l’approvazione di uno statuto che è stato presentato ai potenziali partner. Sono, questi, gli unici obiettivi non raggiunti, che, caro Menico, ti devo consegnare.
Dunque, un Ateneo radicato nel territorio, in piena evoluzione, con idee e progetti innovativi, un bilancio solidissimo e l’appena arrivato giudizio pienamente soddisfacente a seguito della visita periodica di accreditamento dell’Anvur.
Tutto ciò è stato possibile grazie all’aiuto e al sostegno dei delegati del Rettore, del Pro-Rettore professor Roberto Barbato, dei Direttori di Dipartimento, delle Colleghe e dei Colleghi, dell’intero Personale tecnico amministrativo-bibliotecario, della Direttrice generale Loredana Segreto e di tutti i Dirigenti.
Ecco, caro Menico, l’Ateneo che ti consegno. Nonostante gli errori che ho sicuramente commesso, sono e sarò sempre fiero di esserne stato Rettore. Viva l’Università del Piemonte Orientale!
Le prime parole di Menico Rizzi rettore dell’UPO
Grazie di cuore di essere qui oggi e di condividere questo momento della vita della nostra Università: un momento di bellezza e di felicità, che mi emoziona profondamente alla vigilia di assumere il ruolo di Rettore. Non è un inizio, perché l’inizio dell’Università del Piemonte Orientale è nel passato non troppo lontano; ma è un percorso di continuazione istituzionale, perché ciò che conta sono l’Istituzione e l’insieme delle persone che la compongono: la Comunità che la rende viva e vitale.
È un onore per me ricevere il testimone dai Magnifici Rettori e dalle Comunità che mi hanno preceduto. Voglio ringraziare il professor Gian Carlo Avanzi per l’importante contributo che ha dato alla nostra crescita, di cui abbiamo appena ascoltato la rilevanza; ringraziare lui e l’intera comunità, che in questi sei anni ha vissuto momenti estremamente difficili, se solo pensiamo alla pandemia. Riconosco di trarre forte ispirazione dal lavoro e dai successi di tutti i magnifici rettori che si sono finora succeduti alla guida dell’UPO -i professori Ilario Viano, Paolo Garbarino, Cesare Emanuel e Gian Carlo Avanzi- ma anche spunti di riflessione dalle criticità emerse. Con questo bagaglio sono felice di poter continuare il viaggio della nostra Università, con la forza, il valore e la bellezza di tutti voi, della nostra Comunità.
Siamo pronti ad affrontare il nostro futuro insieme, con l’umiltà che viene dal lavoro, dalla dedizione e dalla determinazione.
Nel dialogo di co-creazione del nostro Ateneo alludo naturalmente a una comunità composta dalle studentesse e dagli studenti -la vita dell’Ateneo-, dal personale docente e tecnico- amministrativo-bibliotecario, che formano congiuntamente il sapere e il motore dell’Ateneo. Questo è cuore pulsante di una realtà ben più allargata, che coinvolge le famiglie delle persone che ne fanno parte, in una prospettiva di lungo periodo: le famiglie di chi studia e di chi studierà da noi, di chi agisce e agirà per il benessere dei nostri territori e dei territori in cui le traiettorie professionali e di vita porteranno i membri della nostra comunità ad operare. È una Comunità duratura, nello spazio e nel tempo, la cui coesione si basa sul senso di appartenenza e sull’orgoglio di aver contribuito alla creazione dell’UPO: un orgoglio che non deve trasformarsi in arroganza, ma tradursi in dignità. La nostra Comunità è costituita anche dalle cittadine e dai cittadini dei nostri territori, dalle amministrazioni comunali, dalle fondazioni, dalle imprese, dalle associazioni, dalle altre istituzioni, di cui mi onora vedere qui questa sera i Rappresentanti.
L’Università rappresenta la più alta istituzione culturale del Paese: per mantenere l’autorevolezza che deriva dalla serietà e dal coraggio delle proprie attività non può rinchiudersi in una torre d’avorio. Il dialogo costruttivo, il confronto continuo, gli sforzi congiunti con chi interagisce con noi non possono che continuare a rafforzarsi con nuove attività che nascono da nuove idee e nuove proposte che l’Università certamente avanzerà e che riceverà. È per noi non solo un dovere, ma anche un piacere, ascoltare la grande ricchezza di idee propositive e di critiche costruttive che verranno da tutti i nostri interlocutori. In questo modo riusciremo a fronteggiare le sfide che ci vengono continuamente poste, al meglio delle nostre capacità.
I temi sono numerosi e sfidanti, e proprio per questo entusiasmanti: il tema del lavoro e della sua trasformazione, della dimensione internazionale, della sostenibilità, dell’inclusione e della riduzione delle disuguaglianze, il tema dei diritti e dei doveri. Questa situazione di complessità – intesa in senso scientifico, non cioè come semplice complicazione-, vede l’Università in una posizione centrale per condurre analisi rigorosamente guidate dall’approccio basato sulle evidenze e sui dati; per disaggregare le diverse componenti e per arrivare a proporre elementi di comprensione, cui far seguire proposte e azioni che ne affrontino le sfide. Ma non lo può fare da sola, e mi rincuora la rete costruttiva con i tanti interlocutori di questa comunità compatta. La sfida di collaborare, nel rispetto delle proprie competenze e sensibilità, è difficile, perché i linguaggi sono spesso diversi, ma i presupposti sono presenti, e solidi, e vanno rafforzati.
Quali sono le specifiche azioni e responsabilità che spettano all’Università, oltre alla necessità morale di ascolto e apertura? Si possono riassumere nelle missioni della formazione, della ricerca, dalla terza missione che è meglio definibile come valorizzazione delle conoscenze e impatto sociale. Già l’uso del termine “missione” da la misura della centralità dell’Università e dell’autorevolezza con la quale è chiamata ad operare. La formazione superiore è il nostro proprium. A nessun’altra istituzione è assegnato questo ruolo e ne abbiamo quindi la piena responsabilità. Per formazione mi riferisco non solo a quella delle studentesse e degli studenti dei nostri corsi di laurea, dei master, delle scuole di specialità e di dottorato, ma anche a quella del corpo docente, che deve continuare la propria formazione ad un’attività didattica che sia recepita anche come attività di ricerca. È altrettanto importante per il personale tecnico-amministrativo-bibliotecario, chiamato a confrontarsi e a contribuire all’innovazione con cambiamenti continui che incalzano a una velocità mai riscontrata in precedenza. Focalizzandoci sulle studentesse e sugli studenti, la formazione non fa riferimento alla sola acquisizione di conoscenze; è chiamata infatti a fornire competenze, senza sminuire la rilevanza delle prime. La quantità delle conoscenze non è più l’elemento centrale nella formazione di qualità; bisogna pensare a un alleggerimento della mole delle conoscenze richieste, che vada di pari passo con attività che aumentino la capacità di interpretare e di valutare con spirito critico le conoscenze acquisite e le informazioni cui siamo esposti, con un approccio metodologico scientifico che porti anche a sostenere le capacità di assumere decisioni e valutazioni in indipendenza e assumendosene la responsablità. È altrettanto importante che la formazione sia caratterizzata dall’interdisciplinarità, cosi come è necessario esplorare forme di collaborazione in progetti formativi trasversali che vedano coinvolti sia l’Università, sia le imprese, la pubblica amministrazione, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. La specializzazione estrema non è il solo cardine formativo; e se la solidità disciplinare deve rimanerne il fulcro, la capacità di acquisire conoscenze trasversali, così come quella di contaminare diversi saperi disciplinari, non è rimandabile.
Tutto questo richiede un forte riconoscimento e una convinta valorizzazione dell’attività di docenza, che per troppo tempo in questo Paese è stata considerata secondaria rispetto all’attività di ricerca. Chi frequenta le nostre aule ci chiede stimoli sempre nuovi e noi docenti, a nostra volta, li chiediamo a loro. Nulla è solo monodirezionale e tutto accade – e acquisisce maggior valore – se tutti contribuiscono. Va perseguita una innovazione nella didattica che utilizzi i nuovi strumenti tecnologici, senza timore della modalità telematica, funzionale, per esempio, alla formazione di studenti lavoratori. Bisogna anche introdurre innovazione pedagogica e implementare una didattica interattiva in cui le studentesse e gli studenti siano pienamente coinvolti nel gioco formativo. È necessario valutare se le modalità con cui verifichiamo l’acquisizione di conoscenze e competenze — gli esami, insomma — siano ancora in grado di verificare e di garantire il diritto ad acquisire qualificazione. Bisogna innovare con equilibrio e gradualità, poiché i sistemi complessi non gradiscono cambi improvvisi e repentini: è un nostro dovere per chi studia e per chi studierà da noi.
La forte preoccupazione per la denatalità non deve farci dimenticare che rimaniamo uno dei paesi dell’Unione europea con la più bassa percentuale di laureati. Se ci concentriamo su questo aspetto, esiste quindi l’opportunità di accrescere i propri iscritti a dispetto della denatalità. Certo, dobbiamo essere sempre più attrattivi e proattivi nelle attività di orientamento, di sostegno economico e di innovazione della nostra offerta formativa di qualità, tenendo conto che le giovani generazioni sono attente a diversi aspetti che a volte sottovalutiamo, come la sostenibilità o la qualità residenziale. Ci rivolgeremo sempre in prima istanza ai nostri territori, ma dobbiamo allargare il nostro bacino d’utenza a livello nazionale e internazionale, anche esplorando la possibilità di aprire una sede dell’Ateneo all’estero.
La ricerca è la nostra altra missione fondamentale, fulcro di innovazione per il Paese e per il territorio. L’espressione “eccellenza della ricerca” è in via di superamento, ormai affiancata, più correttamente, dal termine “qualità”, che meglio riflette i diversi contributi alla ricerca: da quella più propriamente traslazionale, in cui gli elementi di innovazione non equivalgono necessariamente a originalità, a quella che esplora strade completamente nuove. Nella ricerca non esiste una differenziazione fra settori o aree scientifiche più o meno importanti di altre; esiste solo la Ricerca, la cui libertà è garantita dalla nostra Costituzione. Le attività di ricerca, destinate a produrre ricadute in tempi che non sono quelli del mercato, hanno prima di tutto bisogno di un ambiente adeguato, dove le idee vengano condivise e la pulsione e la passione alla ricerca non vengano mai scoraggiate, soprattutto quando ci riferiamo alle giovani ricercatrici e ai giovani ricercatori. Solo se è garantito questo scenario, possiamo iniziare a parlare di fondi e di infrastrutture. Non è oggi più pensabile che il supporto economico alla ricerca debba provenire integralmente dal Ministero; bisogna sviluppare la capacità di reperire fondi su bandi competitivi e attraverso altre forme di finanziamento e attività. La creazione di reti internazionali, lo scambio di docenti, studenti e dottorandi, il mantenimento di strumentazioni di frontiera, il supporto alla ricerca dei fondi, la collaborazione con il tessuto produttivo territoriale devono essere fortemente promossi e valorizzati. Riferirsi alla qualità anziché all’eccellenza non esclude affatto il riconoscimento del merito con i suoi meccanismi premiali, ma porta al tempo stesso a non disconoscere gli sforzi di coloro che provano, ma non riescono a raggiungere l’obiettivo e che devono essere incoraggiati e sostenuti per continuare a perseguirlo.
La terza missione, che non è terza a nessuno ma semplicemente è stata introdotta dopo le prime due, è il loro punto di sintesi, perché le conoscenze sviluppate dentro le nostre aule e i nostri laboratori incontrano la Società e, nel trasferimento, determinano un impatto sociale. La recente pandemia ha messo in risalto l’importanza e i limiti della comunicazione, che rimane un aspetto fondamentale della terza missione. Lo stesso si può dire delle attività che investono i temi di salute pubblica, il mondo dei beni culturali, le tematiche sociali, ambientali e della sostenibilità. Inoltre, deve naturalmente anche essere rafforzato il supporto dell’Università al trasferimento tecnologico e alla creazione di imprenditorialità accademica, anche attraverso un dialogo fra i ricercatori universitari e il mondo delle imprese che consenta a queste ultime di conoscere le ricerche che vengono condotte nel nostro Ateneo.
Tuttavia nella terza missione è necessaria un’azione innovativa che si affianchi alle solide attività già ben radicate e molto ben valutate dal Ministero. Mi riferisco al coinvolgimento diretto delle cittadine e dei cittadini in progetti di ricerca: è la cosiddetta “scienza dei cittadini”, che non ha ancora trovato grande spazio nel nostro Paese. Consiste nel progettare un’attività di ricerca, nella quale gruppi di cittadini, ricevuta una specifica formazione, possano agire come veri e propri ricercatori e contribuire ad un progetto di per esempio con la raccolta di dati, la cui elaborazione porterà a proporre possibili soluzioni a uno specifico problema. Questo tipo di progettualità investe anche le amministrazioni delle nostre città, con un processo in cui trovi attuazione il concetto di comunità allargata, cui ho fatto inizialmente cenno.
Sono sfide complesse, che saremo in grado di affrontare se ci caratterizzeremo per indipendenza, coraggio, lealtà istituzionale, ascolto, apertura e, naturalmente, autocritica e umiltà. Il ruolo delle nostre giovani ricercatrici e dei nostri giovani ricercatori è vitale. Spero che l’inclusione formale nella governance di una delega alla valorizzazione dei giovani ricercatori, una novità sul panorama nazionale, possa fornire un contributo forte di passione ed energia.
Tutto questo non può prescindere dalla dimensione internazionale e dall’apertura al mondo, alle culture e alle provenienze diverse come elemento essenziale dell’Università. Ciò significa sia offrire, sia ricevere contributi dalle diverse componenti. È nostro dovere essere aperti. Ed è dovere di chiunque entri a far parte della Comunità contribuire alla sua crescita, nel pieno rispetto delle regole. Tutte le voci e tutta la meravigliosa bellezza della diversità costituiscono un valore inestimabile, che deve potersi esprimere in pienezza.
Quando parlo della dimensione globale, non intendo naturalmente dimenticare i nostri territori. Questi sono la nostra centralità, il nostro patrimonio, la base di tutto ciò su cui dobbiamo continuare a costruire. L’Università considera la ricchezza dei propri territori un patrimonio intoccabile e una priorità fondamentale; un elemento necessario per dare la forza di aprirsi. Da persona accolta in Piemonte ho apprezzato come la sua discrezione e il suo pragmatismo, convivano con la forte innovazione. Ho capito come questa discrezione, questa misura, sia la base di un dialogo rispettoso e produttivo. Di questo vorrei ringraziare tutti e questa Università in particolare che mi accolse 26 anni fa: quando si impara e si riceve così tanto, il farlo è un dovere e un piacere.
Auguro a tutti noi, alla nostra comunità, nello spazio e nel tempo, tutto il meglio possibile per il futuro, con un impegno personale che, lo garantisco, sarà massimo e lo sarà nella certezza che tutti insieme co-creeremo il futuro dell’Università del Piemonte Orientale, nel pieno riconoscimento e nel pieno rispetto della tradizione. Tradizione e innovazione non sono in contrasto: semplicemente colloquiano e collaborano.
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