La notizia di quanto successe nel 2023 all’ospedale di Arezzo fece il giro d’Italia: il pene di un paziente amputato in sala operatoria per togliere un tumore che in realtà non c’era. Era il 2023 quando dopo il fragore della notizia, cadde l’ipotesi di reato di lesioni che pendeva su un urologo accusato per l’operazione avvenuta anni prima all’ospedale di Arezzo.
Rimaneva però in piedi la causa civile, che ha visto contrapposti il paziente con i suoi legali e l’azienda sanitaria locale. Che fine ha fatto quel braccio di ferro? E’ uscito dai radar ufficiali ma si è concluso con una conciliazione, un accordo tra le parti che soddisfa tutti e del quale però nulla si saprà per l’applicazione del vincolo di riservatezza. Nulla deve trapelare.
Tuttavia il clamore del caso impone di dare conclusione alla storia, per quello che si riesce a sapere e cioè che si è conclusa. L’intesa sarebbe stata su una cifra economica molto inferiore rispetto a quella chiesta. Stop. Al centro della disputa c’era un intervento demolitivo che secondo gli avvocati del paziente fu conseguenza di una diagnosi sbagliata. Il tumore non c’era, la biopsia che avrebbe potuto darne conferma non fu eseguita, e così si procedette con l’escissione.
Il bisturi dello specialista asportò la porzione dell’organo intaccato dal male. Solo dopo emerse il reale problema che affliggeva l’uomo, la sifilide. Curabile con antibiotico. Fu il giudice Claudio Lara che il 9 marzo 2023 stabilì il “non luogo a procedere” per il medico urologo che eseguì diagnosi e operazione all’ospedale di Arezzo e per il quale il gip aveva chiesto il rinvio a giudizio. Il processo per lesioni gravissime non ci fu perché l’uomo della Valtiberina, classe 1954, che lamentava il danno all’organo sessuale, aveva presentato la querela troppo tardi. Ben oltre i tre mesi di legge che decorrono a partire dal momento in cui la persona ha avuto “conoscenza effettiva del fatto di aver subito lesioni in conseguenza di errori diagnostici e terapeutici da parte dei sanitari”. L’operazione avvenne il 13 novembre 2018, la querela venne depositata il 5 marzo 2021, quindi tardiva.
L’urologo, in ogni caso, era pronto a difendersi opponendo le sue ragioni mediche e scientifiche. Sosteneva di aver agito in pool con i colleghi, seguendo i protocolli. Caduta l’accusa penale, rimase in piedi l’azione civile verso l’Asl. Il paziente lamentava “l’amputazione pressoché totale del pene” con “perdita della capacità di procreare e una grave limitazione della minzione. Una diagnosi più accurata poteva evitarlo. Ora l’accordo sul danno chiude il caso.
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