Siamo entrati nel terzo anno dell’era Meloni, siamo alla terza legge di bilancio targata destra-centro e siamo alla terza delusione per le donne italiane dalla prima presidente del Consiglio donna. A dimostrazione che non basta rompere il tetto di cristallo, se lo si fa solo per sé e le altre vengono, invece, pervicacemente tenute fuori; anzi nella maggior parte dei casi le si vorrebbe tra le mura domestiche a fare figli e a occuparsi della famiglia.
Per la Cgil ennesima occasione mancata
Secondo la Confederazione di Corso di Italia: “La legge di Bilancio 2025 rappresenta l’ennesima occasione mancata per avviare un vero cambiamento strutturale e duraturo a supporto delle donne, sia nel mercato del lavoro che nelle politiche di welfare”. Ed è proprio sul fronte dell’occupazione femminile che la manovra è davvero deludente. Non è un caso, perché il modello che si prova pervicacemente a promuovere è quello della donna-madre, il cui compito prioritario è quello di invertire la curva della denatalità e di fare figli per la patria. Per di più, se proprio proprio quelle madri vorranno lavorare devono sapere che tutta la fatica della conciliazione del doppio ruolo sta sulle loro spalle.
L’occupazione femminile non è una priorità
Siamo ben lontani dall’allineare l’Italia alle direttive europee che indicano l’inclusione femminile come cardine per lo sviluppo economico e sociale. E per il lavoro di qualità delle donne in Italia davvero poco si fa. Basti pensare che nel collegato lavoro c’è un’ulteriore liberalizzazione dei contratti precari che sono a predominanza di occupazione femminile, condannando le donne a precarietà e povertà oggi e in futuro da pensionate. Per di più, si legge ancora nell’analisi della Cgil: “Nonostante il parziale ripristino delle clausole di condizionalità nei progetti del Pnrr, l’assenza di misure integrate e di lungo respiro lascia intendere una mancanza di visione per una società inclusiva e un’economia sostenibile”.
Al Sud va pure peggio
Se il tasso di occupazione femminile italiano è di poco superiore al 50%, quasi 20 punti in meno rispetto alla media europea, nelle regioni meridionali la situazione è assai peggiore: ad avere una occupazione – quasi sempre precaria e povera – una donna su tre. Il governo che fa? Taglia la decontribuzione per l’occupazione femminile al Sud. Aggiunge la Cgil: “Seppur valutata come una misura parziale e insufficiente non possiamo che esprimere forte disappunto per la scelta di abolire la decontribuzione Sud, destinando solo una parte delle risorse risparmiate a bonus temporanei, come il bonus donne e il bonus per la Zona economica speciale del Mezzogiorno. Riteniamo che l’occupazione femminile richieda politiche strutturali di lungo periodo, non incentivi deboli ed episodici che lasciano ai margini le donne più vulnerabili e distanti dal mercato del lavoro”.
Decontribuzione, qualche passo avanti, forse
Lo scorso anno Meloni raccontò come fosse stata brava nel favorire le madri lavoratrici, prevedendo per quelle con più di due figli una decontribuzione considerevole. Allora i vincoli e i paletti erano stati tali da render la misura quasi discriminatoria. Con la legge di bilancio all’esame del Parlamento si è compiuto qualche passo avanti. Dice la Cgil: “Sulla decontribuzione rivolta alle madri con almeno due figli, valutiamo positivamente l’inclusione delle lavoratrici a tempo determinato e autonome, un intervento che, come Cgil, abbiamo a lungo sostenuto. Tuttavia, la misura resta limitata da vincoli significativi: l’esclusione delle lavoratrici domestiche e l’assenza di un sistema di decalage per i redditi superiori ai 40.000 euro”.
Occasione mancata anche per serie politiche di conciliazione
Ormai è cosa nota: per favorire l’occupazione femminile sono indispensabili politiche pubbliche di condivisione delle responsabilità genitoriali. Politiche di condivisione che sono altro da bonus e una tantum. In ogni caso, gli articoli 32 e 33 della manovra fanno qualche passo avanti. Il primo, finalmente, sancisce che l’assegno unico non deve essere considerato nel calcolo dell’Isee per aver diritto al bonus asilo. Il secondo elimina la clausola di un secondo figlio sotto i 10 anni per aver diritto al bonus. Tutto ciò sarebbe comunque positivo, se non fosse che c’è l’inganno: “Si allarga la platea dei potenziali beneficiari, ma con una copertura economica che non garantirà un adeguato rimborso delle spese sostenute per le rette dei nidi”. Ma si sa, questo governo ha in antipatia l’universalità dei diritti.
Condivisione del lavoro di cura cercasi
Bene l’articolo 34 della manovra, che porta all’80% la retribuzione del secondo mese di congedo parentale. Male che questo sia tutto. A quando congedi di paternità e maternità obbligatori e paritari? Finché questo non sarà, le donne continueranno ad essere discriminante per il solo fatto di essere potenziali madri. “Pur accogliendo positivamente l’estensione al secondo mese di congedo parentale retribuito all’80% – si legge ancora nella nota di Corso d’Italia – resta evidente la mancanza di strumenti incentivanti per i padri. È indispensabile prevedere formule innovative, come il calcolo dell’indennità su base familiare, per rendere la misura più accessibile a entrambi i genitori e promuovere una maggiore equità nella gestione delle responsabilità familiari e incrementare il numero dei giorni di congedo di paternità obbligatorio, sino ad arrivare a renderlo paritario”.
Basta violenza
L’articolo 36 va nella direzione giusta: prevede a partire dal 2025 un incremento strutturale di tre milioni del Fondo per l’orientamento al lavoro e la formazione delle donne vittime di violenza. “Apprezziamo la direzione presa con l’incremento del Fondo per l’orientamento al lavoro e la formazione delle donne vittime di violenza. Tuttavia, è necessario che si rafforzi la collaborazione nei territori tra Centri antiviolenza-Case rifugio e centri per l’impiego, in modo da immaginare soluzioni specifiche e finalizzate ad una collocazione lavorativa che tenga conto delle particolari necessità delle donne vittime di violenza”.
Manca un’idea
Ciò che manca, ciò che lascia l’amaro in bocca per l’ennesima occasione mancata è l’idea di costruire una società includente, a misura di donne oltre che di uomini. Per farlo serve innanzitutto un cambiamento culturale, che superi pregiudizi e stereotipi. “Continuiamo a ribadire – conclude la Cgil – che il cambiamento reale per le donne non può prescindere da un piano organico e strutturale. La stabilità lavorativa, il sostegno alle famiglie e l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro non possono essere realizzati con provvedimenti frammentari e di breve respiro. La Legge di Bilancio 2025 conferma invece un approccio limitato e inadeguato, che non offre le garanzie necessarie per il futuro delle donne e per uno sviluppo sostenibile del Paese”.
Saranno tante le donne, lavoratrici, pensionate, cittadine che il prossimo 29 novembre raccoglieranno l’invito di Cgil e Uil e animeranno le piazze e le strade delle città che ospiteranno le manifestazioni dello sciopero generale contro la manovra.
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