10/11/2024
Un’interessante e ben argomentata Sentenza della Corte d’Appello di Milano, sezione seconda civile, del 22 luglio 2024 (n. 2164), permette di fare il punto in ordine ad un tema di non poco momento nel panorama dei trasferimenti di diritti reali in un mercato, quale quello automobilistico, in cui gli operatori sono sempre più esposti a raggiri.
La vicenda trae origine da una truffa contrattuale perpetrata ai danni di Z.M. e Z.A., i quali vendettero un veicolo modello BMW a F.S. ricevendo in pagamento un assegno bancario successivamente rivelatosi falso. Dopo una settimana dalla transazione fraudolenta, F.S. alienò la stessa autovettura a V.P., titolare di una concessionaria automobilistica.
Z.M. e Z.A., ritenendosi vittime di una truffa aggravata dalla presunta consapevolezza di V.P. circa la provenienza illecita del veicolo, hanno contestato innanzi al Tribunale competente la validità dell’acquisto da parte di V.P. e chiesto la declaratoria di proprietà in loro favore, unitamente al risarcimento del danno. La loro argomentazione si basava sulla rilevante differenza di prezzo tra le due vendite, sostenendo che tale discrepanza avrebbe dovuto mettere in allarme V.P. sulla potenziale natura fraudolenta della transazione precedente.
V.P., a sua volta, si è costituito in giudizio, eccependo il proprio acquisto in buona fede e chiedendo, tramite domanda riconvenzionale, la dichiarazione di proprietà del veicolo e la restituzione del bene, in quanto sottoposto a sequestro penale a seguito della denuncia sporta da Z.M. e Z.A. Il Tribunale di Monza, con ordinanza del 15 novembre 2023 (n. 9074/23), ha accolto la domanda riconvenzionale di V.P., dichiarandolo proprietario dell’autovettura e rigettando le domande di Z.M. e Z.A. Tale decisione ha dato luogo all’impugnazione in appello da parte di Z.M. e Z.A.
Il dolo nella truffa come vizio del consenso
Il primo tema da affrontarsi riguarda la validità del primo atto negoziale, ossia quello con il quale i proprietari del veicolo, per effetto del raggiro, hanno trasferito il possesso (e la proprietà) del bene.
Il rimedio a disposizione dei soggetti danneggiati non è la radicale nullità del contratto, ma la declaratoria di annullamento dello stesso (azione prevista dall’art. 1441 c.c.) per effetto del vizio del consenso previsto dall’art. 1439 c.c., ossia, appunto, il dolo del contraente.
In tal senso, la Sentenza della Corte d’Appello meneghina richiama il precedente giurisprudenziale costituito dall’arresto della Corte di cassazione del 27/09/2016 (n. 18930), ove si ravvisa l’identità ontologica tra il dolo costitutivo del delitto di truffa e quello che vizia il consenso negoziale. La circostanza per cui il fatto sia ascrivibile al delitto di truffa, dunque, implica di per sé che il raggiro perpetrato abbia già tutti i caratteri del suo corrispettivo nel diritto civile affinché possa essere dichiarato invalido il contratto.
Le interazioni tra i settori dell’ordinamento non finiscono qui. È ben noto che l’azione di annullamento del contratto per vizio del consenso è soggetta ad un periodo di prescrizione di 5 anni, oltre i quali gli effetti del contratto assumono, almeno per quel profilo, stabilità. L’art. 1442 c.c. collega il giorno da cui far decorrere quel lasso di tempo con il momento in cui il contraente ha scoperto il raggiro, in altri termini, con la percezione dei mezzi fraudolenti che sono stati messi in opera dall’altro contraente per carpire il suo consenso. Ebbene, nel caso in cui il fatto sia contestato penalmente, la giurisprudenza di legittimità (ripresa dalla Sentenza in commento) non ha mancato di precisare che, al fine del calcolo della prescrizione dell’azione di annullamento, deve essere considerato come primo giorno utile proprio la costituzione di parte civile nel processo penale. È palese, infatti, che da quel dì, il legittimato a chiedere la declaratoria di annullamento ben conosce i termini del raggiro a cui è stato soggetto, attivando il conto alla rovescia per impugnare il negozio traslativo (Cass. civ., 27/09/2016, cit.).
Il trasferimento a terzi: la buona fede nei contratti traslativi di proprietà
Nel caso sottoposto alla Corte d’Appello di Milano, il contraente in dolo aveva, poi, rivenduto l’auto ad un terzo del tutto estraneo alla vicenda penale. È lecito chiedersi, dunque, a quali condizioni il soggetto circuito può recuperare quanto sottratto mediante la truffa, soprattutto considerando che, in molti casi, non è facile ottenere una soddisfazione economica per equivalente da parte dell’autore del raggiro, poiché solitamente non sono soggetti titolari di un patrimonio capace di rispondere positivamente ad un’obbligazione di risarcimento.
Per rispondere all’interrogativo, la Corte d’Appello prende le mosse dal presupposto per cui il contraente che aveva posto in essere il raggiro era divenuto effettivamente proprietario del veicolo, in quanto il contratto annullabile, fino a che non venga impugnato, è valido ed in grado di trasferire i diritti reali oggetto del regolamento negoziale. Il terzo soggetto, che divenga proprietario del bene oggetto del primo contratto per effetto di un secondo accordo con il reo del raggiro, diviene a sua volta effettivo proprietario del bene e, ove abbia acquistato in buona fede e a titolo oneroso, si pone al riparo da una sentenza che dichiari invalido il contratto, salvi naturalmente salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento (art. 1445 c.c.).
Nella Sentenza in analisi, la Corte ha rilevato che, in simili casi, il contraente ben può ottenere tutela convenendo il giudizio l’autore del raggiro, per sentir dichiarare il contratto invalido per effetto del dolo e, contestualmente, il terzo acquirente, dimostrando la mala fede di quest’ultimo ed opponendogli l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1445 c.c. al fine di ottenere la restituzione dell’auto.
Un ultimo cenno va fatto al concetto di “buona fede” che deve caratterizzare l’agire del terzo per evitare che l’azione di annullamento pregiudichi il suo acquisto (ancora art. 1455 c.c.). Se è pacifico che il terzo (per essere inteso tale) deve essere estraneo all’accordo annullabile, non è fuori luogo chiedersi in quali circostanze, ovvero di quali informazioni deve essere in possesso per potersi escludere la buona fede. A tale riguardo, può essere utile rilevare che, nel caso in cui oggetto del contratto sia un’autovettura, il Pubblico Registro Automobilistico costituisce un documento di non poca rilevanza, dal momento che è possibile prendere contezza di diverse circostanze che precedono l’acquisto. Nel caso in esame, infatti, la sostenuta assenza di buona fede del terzo acquirente era basata sulla differenza tra il prezzo di acquisto del veicolo rispetto a quello proposto, dati risultati dal certificato estratto dal P.R.A. Similmente ha ragionato la Corte d’Appello di Brescia, nella Sentenza n. 343/2015, ove è stato rilevato che le tempistiche e le modalità delle vendite precedenti a quella impugnata, comunque risultanti dal P.R.A., avrebbero dovuto porre in allarme il terzo acquirente e renderlo più vigile. Ciò è sufficiente per escludere la buona fede dell’ultimo possessore del veicolo e rendere lui opponibile la declaratoria di annullamento.
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