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Dalla Fiat “rubata” ai guai di John Elkann: Ecco perché gli Agnelli non ci sono più – Torino Cronaca #finsubito prestito immediato


Dai processi del fondatore, il Senatore Agnelli, alla lotta per l’eredità tra i fratelli Elkann e la madre Margherita, oltre un secolo di storia – e segreti – della Italian Royal Family, come da titolo del nuovo libro del giornalista e scrittore Gigi Moncalvo, che in questa lunga chiacchierata ci ha svelato nuovi segreti della Famiglia più potente d’Italia. 

Intorno alla famiglia Agnelli/Elkann si è concentrato un interesse quasi per come la Royal Family inglese, non a caso tu usi il titolo inglese nel tuo libro per questa famiglia reale.
«Sì, perché prima di tutto c’è una bella notizia per me che i diritti sono stati veduti all’estero, quindi abbiamo dovuto fare un’edizione che tenesse conto di questo interesse globale. Il problema di John Elkann è che è veramente strano che un finanziere, anche accorto quale lui è, che moltiplica i pani e i pesci, e dà grandi dividendi ai suoi parenti, e quindi è amato dai parenti, Un personaggio della finanza internazionale, come egli indubbiamente è, non riesca a capire quali danni alla sua reputazione determina questa vicenda ereditaria e questa inchiesta che la Procura di Torino sta conducendo con grande rigore, Ora, se un grande personaggio della finanza che siede nel consiglio di amministrazione di Stellantis, di Exor, eccetera, non capisce che se non è capace, come scrivono i giornali giustamente, di sedersi a un tavolo, trattare con sua madre, non con un partner commerciale o industriale, per risolvere questa grana, quali riflessi possono derivargli? Riflessi negativi, riflessi reputazionali, riflessi che riguardano la sua capacità o non capacità di fare il finanziere. Figurati all’interno del Consiglio di amministrazione di Stellantis. Che cosa possono pensare Robert Peugeot, il figlio di Peugeot? Che cosa possono pensare i rappresentanti del governo francese messi lì da Macron? Ecco, un signore che si chiama Saint-Exupery, un discendente dell’autore del Piccolo Principe. Non si tratta di pisquani di passaggio»

No, no, non sono figure di poco conto. E d’altra parte… quello che manca potrebbe essere un rappresentante italiano. All’epoca della fusione, Cassa Depositi e Prestiti avrebbe potuto forse prendere una piccola quota, ma lì entriamo in un discorso un po’ particolare forse si sono fidati della famosa garanzia SACE al maxi prestito di FCA che poi Tavares ha restituito per liberarsi di tanti impegni. A questo punto ti chiedo: ma i destini industriali di quello che era l’impero Agnelli, l’impero Fiat, e i problemi di dinastia, di eredità degli Elkann, possono intrecciarsi pericolosamente? Tu parli di problemi reputazionali, quindi di fiducia degli azionisti, immagino che sia da valutare.
«Questo è il problema, perché quando si parla di un personaggio che fa parte del board di gruppi multinazionali è chiaro che se la sua reputazione viene meno, la sua onorabilità viene in qualche modo macchiata, senza che egli prenda le adeguate condizioni, è chiaro che ci possono essere dei grandi fondi stranieri che smettono di investire in quella corporation. Questo si verificò ad esempio in un caso molto importante, quello della Ferrari. Quando Lapo Elkann venne preso nella famosa notte di New York del novembre di qualche anno fa, in quel finto rapimento, Marchionne chiese e impose che dal board della Ferrari Lapo Elkan venisse tolto. Dobbiamo tenere presente che nelle grandi corporation, così come nelle piccole fabbriche, esiste un codice etico, che deve valere sia per la più bassa categoria, il guardiano dei parcheggi delle auto, sia soprattutto, come esempio, per i vertici. Ora tu come fai, come John Elkann, a non capire questo e a non autosospenderti in attesa che la magistratura decida?»

Abbiamo anche altri casi di finanzieri che hanno avuto qualche problema familiare più difficile da gestire della congiuntura. Persino Elon Musk. A proposito di industriali, a questo punto arriviamo al tema del tuo libro, perché per questa Royal Family tu hai fatto un ampio focus sul patriarca, sul fondatore della dinastia.
«Sì, da come portò via la Fiat ai suoi soci e quindi ai veri fondatori della Fiat. Il vero fondatore della Fiat è stato il conte Cacherano di Bricherasio sono stati Edoardo Scarfiotto, sono stati Ferrero di Ventimiglia sono stati Biscaretti di Ruffia, personaggi dell’automobilismo che avevano intuito. C’è un libro che parla di un giallo sulla morte di Cacherano di Bricherasio e di un suo grande amico, il capitano Caprilli, che era un grande personaggio dell’equitazione italiana. La premessa dice questo libro è frutto di fantasia. Che il vecchio Agnelli si fosse messo ad armare dei killer e a commissionare due omicidi è un po’ fuori dalla realtà, ma il vecchio è importante. Oltre a portare via la Fiat ai soci porta via anche a quello che era un suo amico/concorrente, cioè Gualino, è un personaggio fantastico, era anche stato vicepresidente della Fiat, era proprietario di banche molto importanti, il fondatore della Snia, che noi conosciamo come la società delle fibre tessili, ma prima la Snia nasceva come compagnia di navigazione. Anche lui venne fatto fuori come venne fatto fuori Frassati il proprietario della Stampa e portò via la Stampa per ordine di Mussolini. Gliela comprò per una ragione molto semplice, perché per la prima volta capì quanto fosse importante possedere un giornale o comunque avere sotto il proprio controllo un giornale per tacitarlo, per condizionarlo».

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Perché?
«Perché per esempio nel momento in cui Giovanni Agnelli Senior, il senatore poi fascista nominato da Mussolini, il senatore che va in Senato a votare a favore di Mussolini il giorno in cui c’è da discutere sul delitto Matteotti, venne messo sotto processo a Torino grazie a una inchiesta fantastica della Stampa, fantastica nel senso che era piena di dettagli ed era così diversa dalla Stampa di oggi perché raccontava tutto e raccontava anche quando arrivò la polizia a perquisire la sua casa ed egli si nascose in una specie di cantina bunker con un’uscita laterale. Torino rideva di questa cronaca»

Una inchiesta per aggiotaggio tra l’altro dove se la cavò grazie a un avvocato che era il ministro della Giustizia, che diede le dimissioni per fare il suo avvocato.
«Ecco, attenzione, qui abbiamo un altro grande caso che ci riporta poi al perché io ho rimesso il focus sul vecchio senatore Agnelli. Per tante ragioni, ma soprattutto per cercare di trarre i punti in comune che poi attraverso Gianni e adesso attraverso John Elkann hanno assorbito dal vecchio perché qualche cosa nel DNA rimane. Ecco, primo quindi… comprare un giornale o tacitare la stampa. Secondo, comprare la corte, diciamo così, farti difendere da colui che come ministro della giustizia ha nominato e promosso i componenti della corte giudicante. Ma c’è soprattutto il ruolo di Valletta perché è considerato uno dei migliori ragionieri commercialisti di Torino. Lui per conto dei piccoli azionisti fa una perizia dove dà addosso ad Agnelli dicendo che ha compiuto le più grandi nefandezze, falso in bilancio, aggiottaggio, false comunicazioni sociali, eccetera. Poi però viene chiamato e dicono ma com’è bravo lei, ma perché non viene a lavorare alla Fiat?»

Detto e fatto…
«Il vecchio senatore Agnelli aveva l’inferiority complex di non essere nobile, di non avere il sangue blu e quindi oltre a ordinare a tutti i suoi figli, anzi alle figlie, perché se un figlio sposa uno di sangue blu non assume il titolo, ma se le figlie sposano il barone Nasi diventano baronesse, il conte Rattazzi diventano contesse, addirittura Clara Agnelli, sposa un principe e diventa principessa, quindi era questo il suo inferiority complex, anche se aveva molto ma molto più denaro di tutti. Agnelli faceva quello che voleva, poi arriva il fascismo, lui viene nominato senatore da Benito Mussolini e quindi la strada è ancora più in discesa».

E poi alla caduta del fascismo, dal ‘43 al ‘45 di fatto il senatore Agnelli e anche valletta erano praticamente condannati a morte.
«Immaginiamo che il senatore Agnelli abbia grufolato dal punto di vista degli interessi e degli affari con il regime, non ci sono dubbi, egli diceva sprezzantemente col sorriso sulle labbra “io sono antifascista a Torino perché c’è il Partito Comunista, la Camera del Lavoro, il sindacato dei metalmeccanici, il pericolo di scioperi e gli operai. Sono però fascista a Roma perché a Roma ci sono i ministri c’è il Duce che mi firma le commesse di guerra”. È chiaro che le sue ricchezze diventano immense. Soprattutto per uno che ama farsi pagare non in carta moneta ma in lingotti d’oro. Ma arriva l’8 settembre, ma soprattutto comincia il periodo dell’Alta corte per le epurazioni, vale a dire quella specie di tribunale speciale che il CLN vuole, ottiene, pretende per punire, per sanzionare coloro che hanno sostenuto il fascismo. E tra questi l’imputato numero uno è Giovanni Agnelli insieme a Vittorio Valletta. Il CLN gli sequestra i suoi beni e gli stabilimenti. Io ho trovato le carte presso l’archivio di Stato di Roma, dove c’è la difesa patetica di Agnelli scritta di proprio pugno, in cui egli cerca di convincere l’alta corte per le epurazioni e il CLN di Torino che lui è un partigiano, che lui è come se avesse il fazzoletto rosso al collo e imbracciasse un mitra. Soprattutto fa una cosa vergognosa poiché manda un messaggio tremendo al CLN di Torino. Dice: “tutti i finanziamenti che io ho dato ai partigiani”, insinuando che lui li aveva finanziati e quindi impaurendo i partigiani dicendo “andate a vedere se questi li hanno versati nella cassa del CLN o no, i denari che io gli ho dato”. Ha una sola fortuna, paradossalmente, poiché muore pochi giorni prima che sia finito tutto. Valletta con gli americani si fa restituire dal CLN, anzi dal nuovo governo sotto il controllo degli americani, le aziende e diventa il più spietato anti-operaista che fosse mai esito sulla faccia di Torino e della Terra. Questa storia dimostra che in Italia il passaggio dal fascismo alla Repubblica è stato fasullo perché tutti i vecchi arnesi del fascismo sono riusciti bene o male a essere ricollocati. E se la Fiat, non dico fosse stata gestita dal CLN e dai partigiani, ma avesse avuto lo Stato un pugno duro nei confronti di Agnelli e di tutti coloro che avevano tratto vantaggi enormi dal fascismo sostenendolo, oggi non avrebbero la faccia tosta di andare a chiedere al governo italiano dei soldi. O il governo italiano nel corso degli anni non sarebbe stato così suddito nei confronti della Fiat».

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Poi viene quello che sappiamo, il lungo impero di Gianni Agnelli che inizia tardivamente perché aveva lasciato il potere a Valletta, la mancata successione diretta e adesso arriviamo alla questione oggi: gli Agnelli sono gli Elkann perché col cognome Agnelli c’è Margherita e c’è Andrea che non è più né in Exor né nella Juventus, tanto meno in quella che è Stellantis. Cos’è oggi questa famiglia, è ancora reale, o legata a Torino?
«Dunque, hai detto bene, oggi gli Agnelli veri, quelli che hanno il nome Agnelli sulla carta di identità per nascita, sono rimasti del ramo di Gianni, c’è soltanto Margherita. E ci sono due vecchie sorelle che hanno novantacinque, novantasei anni, che sono Maria Sole e Cristiana. Ma capite bene che il ramo è quello. L’altro ramo, quello di Umberto, sempre tenuto in disparte, comprende, hai detto bene, Andrea Agnelli e sua sorella Anna. Poi c’è tutta una pletora di bambini, i figli di Andrea avuti dalla prima moglie, i figli di Andrea avuti da Denise Akalin, abbiamo una ragazza dimenticata e importantissima, la figlia di Giovannino Agnelli che vive in Inghilterra con la madre e quindi c’è ancora lei, ha venticinque anni adesso ma non si interessa più. Quindi il ramo di Giannii conta solo su Margherita su Cristiana e su Maria Sole, le sorelle. Ma il problema è che John Elkann non si chiama John Agnelli come avrebbero voluto con un’operazione mefistofelica Gabetti e Grande Stevens quando cercarono di convincere l’avvocato ad affiliare il nipote. Pensate oggi, nella società di comunicazione di oggi, uno che si chiama John Philip Jacob Agnelli. E lui si incazza anche quando parlano di gruppo Agnelli, i profitti del gruppo Agnelli, eccetera. Ma è una dinastia senza più capi, perché il complotto famoso ordito da Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens per ragioni personali, di potere personale, ha previsto di tagliare fuori Margherita Agnelli e soprattutto incoronare allora un ragazzo giovane, inesperto, che poteva essere quindi teleguidato e telecomandato dai due grandi consiglieri, cioè Gabetti e Grande Stevens. Cosa a cui la madre si è ribellata e ha avuto una sfortuna, perché se ci fosse stato in vita Edoardo, pensiamoci bene, Margherita insieme a Edoardo avrebbero potuto costituire soprattutto all’interno della Dicembre un’alleanza, uno zoccolo duro che avrebbe impedito alla madre Marella di accoltellare la figlia e di donare… Questa parola: “donazioni”, che piace tanto perché così pagano meno tasse se le denunciano. Avrebbe consentito la presenza di Edoardo insieme alla sorella di costituire un nucleo che avrebbe impedito alla madre di fare tutto quello che ha fatto e che ha combinato a favore di John e a favore solo di tre degli otto nipoti».

C’è da dire che a suo tempo Edoardo rifiutò le quote della Dicembre. Edoardo rifiutò quella parte, forse non è chiaro perché. Forse voleva vederci più chiaro, lui voleva scoprire di più.
«Dunque, Edoardo era un personaggio scomodo, non ci sono dubbi. Un po’ se l’è cercate le grane, perché tutti gli incarichi che gli hanno affidato… La tattica per tagliare fuori Edoardo era di non affidargli alcuni carico, alcun lavoro. Gabetti era il suo superiore diretto come capo della Ifi, Istituto Finanziario Italiano. Ma il problema è un altro, che quello che tu dici, la famosa rinuncia di Edoardo alle quote della Dicembre, rinuncia che viene scritta nella lettera di Monaco che Gabetti e Gran Stevens fanno firmare all’avvocato Agnelli mentre sta entrando in un camera operatoria a Monaco, a Montecarlo, per un delicatissimo intervento dopo il quarto infarto – e non si fa firmare una lettera a un signore che sta per essere operato. Semmai gli si fa coraggio, non gli si dice, dato che si rischia di morire, firma qua».

Fai testamento, in pratica…
«Ecco, lettera che non viene tirata fuori al momento dell’apertura del testamento, anche se è indubbiamente una manifestazione di ultime volontà, visto quello che poi succede dopo. Lì ci sono solo due righe “avendo mio figlio rinunciato”, ok, se è vero che Edoardo ha rinunciato, in una società importante come la Dicembre, anche se era una società semplice perché non aveva l’obbligo di presentare il bilancio in questo modo, ci deve essere una carta scritta di Edoardo in cui dice “io sottoscritto Edoardo Agnelli nato a New York bla bla bla rinuncio ai miei diritti”. A Margherita gliel’hanno fatta firmare la lettera in cui rinuncia ai suoi diritti ereditari»

Il famoso patto successorio che dovrebbe essere la pietra tombale dell’eredità.
«Di tutto, ma dovrebbe essere la pietra tombale a condizione che a Margherita sia stato mostrato tutto il patrimonio, e abbiamo visto che non le è stato mostrato tutto il patrimonio del padre, perché come faceva Donna Marella a essere così ricca, che non ha mai lavorato nel corso della sua vita, se non attingendo alla cassa nera di Gianni Agnelli all’estero, che per la metà quella cassa nera è di Margherita? Ma nel momento in cui su una cosa così importante e decisiva se Edoardo eventualmente, ipoteticamente, ha firmato o ha rinunciato, ci deve essere una carta scritta, che è ancora più importante della lettera di Monaco. E quindi perché non c’è la lettera? Ma perché Edoardo non ha mai firmato una lettera del genere, perché fino all’ultimo la sua linea, e lo confermò anche nell’ultima intervista che fece al Manifesto qualche anno prima di morire, la sua linea era quella di rimanere dentro l’azienda e quindi di poter avere la possibilità di guardare i bilanci, di leggerli, di capire che cosa contenevano di chiaro e di meno chiaro e soprattutto di essere all’interno un personaggio controcorrente che cercava di ragionare, anche se a modo suo, a fasi alterne, lo sappiamo a causa di che cosa. Ma soprattutto cercare di avere un occhio lì dentro dove nessuno doveva metterci il naso. Ecco quindi il problema. Se veramente Edoardo ha rinunciato alla sua quota da dicembre, che tirino fuori la lettera che non l’hanno mai fatto in questi ventuno anni dalla morte dell’Avvocato e ventiquattro dalla morte di Edoardo».

Fine parte 1.

Prosegue domani, mercoledì 13 novembre





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