Un giro di vite. L’ennesimo, per provare a fare in modo che tutte le amministrazioni pubbliche, da quelle centrali fino agli enti locali, paghino entro il termine dei 30 giorni le fatture ricevute dai propri fornitori. Sulla questione è intervenuta, ancora una volta, la Ragioneria generale dello Stato con una sua circolare. Il documento spiega che anche laddove l’impresa fornitrice di beni o servizi emetta autonomamente una fattura elettronica con espressa indicazione di una scadenza superiore a 30 giorni, l’amministrazione, ai fini del pagamento della fattura, dovrà ricondurre la scadenza al termine di 30 giorni». Insomma, qualunque sia la data di “scadenza” indicata, l’amministrazione sarà comunque obbligata a pagare entro i 30 giorni previsti dalle direttive europee. Sui tempi di pagamento del resto, non tutte le amministrazioni si sono messe in pari. Le cose, come dimostra un rapporto di Rep, il Centro di Ricerca sugli Enti pubblici, una società di Fondazione Etica, stanno migliorando. Su 109 Comuni capoluogo di provincia, ce ne sono una settantina che ormai pagano addirittura in anticipo. Ma restano 28 Comuni nei quali si registrano tempi di ritardo, talvolta elevati, come il record dei 143 giorni (in pratica 5 mesi) che un’impresa deve attendere il pagamento di una fattura. Le cose vanno male anche a Chieti (61,9 giorni di ritardo), Agrigento (53,5 giorni) o Isernia (53 giorni). Mentre vanno assai bene in comuni come Grosseto, Pordenone o Padova, dove si paga con oltre 21 giorni di anticipo sulla scadenza della fattura. A Roma invece, c’è ancora un ritardo di sette giorni, mentre comun come Venzia pagano in anticipo di 18 giorni. Ma torniamo alla circolare della Ragioneria. Perché, ci si potrebbe domandare, un’impresa dovrebbe chiedere di sua spontanea volontà a un’amministrazione pubblica un tempo di pagamento superiore a quello previsto dalla legge? Qualche mese fa, la stessa Ragioneraia aveva inviato un lettera a tutti i Comuni a rischio ritardo nei pagamenti, concentrandosi proprio su quelli che nei contratti con i fornitori inseriscono tempistiche di pagamento superiori al limite di 30 giorni.
IL FRONTE
Su questo fronte c’è il sospetto che alcune amministrazioni usino questo escamotage per registrare una tempistica migliore e per ridurre lo stock di spesa corrente, spesso a danno delle imprese più piccole. In un recente report elaborato dall’Ance, l’associazione dei costruttori, si spiega che «il 62 per cento delle imprese segnala che le amministrazioni chiedono di ritardare l’invio delle fatture e il 53 per cento l’emissione dei SAL, mentre al 30 per cento delle imprese, in sede di contratto, le Pubbliche Amministrazioni chiedono tempi di pagamento superiori ai 30 giorni e al 18 per cento delle imprese la rinuncia agli interessi di mora». Tutte pratiche alle quali il ministero dell’Economia sta da tempo cercando di porre fine. Anche perché al rispetto dei tempi di pagamento da parte delle Pubbliche amministrazioni, è legato il raggiungimento di uno degli obiettivi del Pnrr, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza, per il prossimo anno. Entro il primo trimestre del 2025 le amministrazioni pubbliche dovranno ridurre a zero giorni il tempo medio ponderato di ritardo nei pagamenti per le fatture ricevute nel 2024. Un risultato che poi dovrà essere replicato anche nel 2026 per le fatture ricevute nel 2025. Un meccanismo deciso dall’Europa per evitare che una volta raggiunto l’obiettivo, le amministrazioni possano riprendere con le vecchie cattive abitudini dei pagamenti in ritardo. Basterà tutto questo ad arrivare ai «ritardi zero» richiesti dal Pnrr? Non ci vorrà molto per saperlo. Il tempo stringe. Non solo quello dei pagamenti della Pubblica amministrazione, anche quello concesso all’Italia per adeguarsi alle norme.
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