Ha ammesso di aver fatto parte del commando di quattro persone (tutte già processate) che aveva assaltato il Crédit Agricole di Cocquio Trevisago sul finire di gennaio di quest’anno. Ma si è descritto come un rapinatore quasi cortese, non del mestiere e in un momento fragile della sua vita: «Ero in preda alle dipendenze, dalle quali sto cercando di uscire, e mi ero appena lasciato con mia moglie. Un periodo difficile».
L’uomo, nonostante l’ammissione di queste fragilità, è stato condannato dal Collegio a 5 anni e un mese di carcere, oltre al pagamento di una multa di mille e cento euro. E pensare che è uno degli appartenenti al commando che avrebbe anche aiutato una cliente della banca, in quel momento all’interno dell’istituto di credito e in preda a una crisi d’ansia: «Le ho detto di stare tranquilla, che ci avremmo messo pochissimo tempo. L’ho tranquillizzata. Del resto non ero e non sono del mestiere: mai fatta una rapina in vita mia».
Quel giorno, però, l’imputato era lì, in banca. «Ero partito verso il Nord in auto con un amico che mi aveva promesso un passaggio. Dovevo raggiungere Bologna. Ma durante il viaggio mi è stata spiegata la vera natura di quel viaggio: andare a fare una rapina. Io mi sono subito tirato indietro e alla fine mi hanno minacciato di buttarmi giù dall’auto se mi fossi rifiutato».
Un racconto puntuale a cui l’imputato non si è sottratto, acconsentendo al suo esame in aula, assistito dal difensore. «Abbiamo visto dalla banca che la polizia locale aveva circondato l’auto dove stava il nostro complice, dunque siamo usciti e abbiamo trovato riparo in un bar del paese. Lì abbiamo chiesto un taxi, ma ci è stato risposto che ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che arrivasse, e quindi abbiamo preso al volo un pullman per raggiungere Gallarate. Da lì, con un taxi, siamo arrivati a Parma e poi ci siamo separati».
Sulla “professionalità” legata al colpo, l’imputato ha affermato di non essere un malvivente, di non aver mai partecipato a colpi in banca: «A Napoli ho diverse case che affitto. Vivo di quello, riesco ad avere soldi a disposizione e tanti ne ho bruciati con eroina, cocaina e crack».
Una tesi sostenuta anche dal difensore dell’imputato nella sua arringa, successiva alla richiesta del pubblico ministero Lorenzo Dalla Palma, che aveva chiesto 6 anni, 3 mesi e 1200 euro di multa.
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