Gentile Direttore,
scrivo a lei questa lettera altrimenti direttamente indirizzata all’avvocato Carlo Bergamasco, direttore generale della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, di cui leggo sul suo giornale affermazioni che, così come sono riportate, non rispondono a verità.
Poiché, ne sono convinto, l’avvocato Bergamasco conosce benissimo la Fondazione Teatro Comunale e la sua storia, l’asserzione riportata da questo giornale risulterebbe ancora più grave se, me lo auguro di cuore, non si trattasse, invece, di un refuso o solo di una incomprensione.
Mi riferisco all’affermazione falsa, falsissima, riportata su questo giornale (https://www.estense.com/2024/1104260/bergamasco-attacca-il-sindacato-nessun- licenziamento-per-rappresaglia/): “Certo, non ci si può stupire – incalza – che la Cgil non abbia mai alzato la voce quando l’amministrazione della Fondazione Teatro era espressione di una parte politica a loro vicina, ma non si può accettare che lo faccia ora, dopo quattro anni di miglioramenti progressivi dei quali non può rivendicare alcun merito”.
L’avvocato Bergamasco si riferisce alla manifestazione indetta lunedì 11 dalla SLC-CGIL regionale novembre in sostegno di Morena Morelli a cui la Fondazione Teatro Comunale non ha rinnovato il contratto individuale senza fornire ragioni e rifiutando qualsivoglia tipo di dialogo.
Prima di tediare l’avvocato e chi avrà la pazienza di leggere quanto segue con necessari tecnicismi, premetto che sono un cosiddetto battitore libero, non ho tessere di partito e non parlo a nome di nessun altro se non di me stesso. Premetto anche che ho avuto la fortuna di coprire un importante ruolo all’interno della Fondazione che ora l’avvocato Bergamasco dirige, e che quell’incarico non mi fu affidato per appartenenze politiche o, peggio ancora, di partito, ma per ragioni di competenze acquisite.
In altre parole, sono stato nominato nel 2009 Presidente della Fondazione Teatro Comunale di Ferrara per quello che oggi viene comunemente definito “merito”. Lascio ad altri il giudizio sulla bontà o meno di quella scelta. Premetto, infine, che per mestiere cerco di mettermi nei panni, nella pelle, dell’”altro” e che, quindi, comprendo benissimo il ruolo coperto oggi dall’avvocato Bergamasco perché non dissimile da quello che ho coperto a suo tempo. All’epoca, la figura del direttore generale non era contemplata nello Statuto della Fondazione e, di fatto, l’operatività era coperta dal presidente. È quindi solo per correttezza e rispetto per un ruolo di grande importanza manageriale e valore culturale che mi permetto di entrare in un dibattito, oserei dire “storico”, senza per questo scadere in una bassa polemica politica che non mi appartiene e di cui nessuno sente il bisogno.
Tornando all’oggetto in questione, e cioè alle relazioni più o meno positive tra la Fondazione Teatro Comunale e le rappresentanze sindacali in epoche in cui la città aveva un’Amministrazione con un diverso orientamento politico da quello attuale, vale la pena ricordare che la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara nasce nel 2008 avendo tra i suoi scopi quello di stabilizzare molti dei lavoratori e delle lavoratrici del Teatro Comunale. Precedentemente, infatti, quella che oggi è una Fondazione, era un’Istituzione comunale, ovvero un Ente direttamente dipendente dal Comune con personale in parte dipendente comunale e in parte contrattualizzato attraverso le forme di contratto a tempo determinato proprie del settore (quelli che, per intenderci, oggi sono inseriti nella fascia “B” ex-Enpals).
Con il passaggio a Fondazione, e cioè un soggetto di diritto privato seppur con un Socio Unico (il Comune di Ferrara, e non mi risulta che questa situazione si sia modificata dal 2008 ad oggi) furono stabilizzati molti lavoratori e lavoratrici e altri e altre mantennero la forma contrattuale a tempo determinato, come in precedenza, e fu adottato il Contratto Nazionale dei lavoratori dello spettacolo cosiddetto della Prosa (firmato da PLATEA e dalle sigle sindacali) e non quello cosiddetto della lirica (firmato da ANFOLS e dalle sigle sindacali) adottato invece da altri Teatri di Tradizione precedentemente diventate Fondazioni (penso, ad esempio, a Ravenna o Parma).
Tralascio, per non tediare oltremodo, i due anni di transizione da “Istituzione comunale” a Fondazione, quando ad alcuni lavoratori e lavoratrici ex-dipendenti comunali venne dato il tempo di scegliere se rientrare in Comune all’interno di altri servizi o di diventare direttamente dipendenti della Fondazione, quindi con un contratto a tempo indeterminato, così come viene definito dal Contratto Nazionale di riferimento, e inseriti nella cosiddetta “fascia C” ex-Enpals. Alcuni scelsero di rientrare in Comune e la maggioranza decise invece di entrare definitivamente fra i dipendenti della Fondazione. D’altra parte era comprensibile l’esitazione del gruppo dei più dubbiosi: passare dall’essere dipendenti di un Ente pubblico, quale un Comune, a dipendenti di una Fondazione di diritto privato che aveva, certo, il Comune come Socio Unico (e quindi garante), ma che avrebbe dovuto anche reggersi sulle proprie gambe.
Dico tutto questo semplicemente perché mi trovai a gestire quella fase estremamente dinamica (e francamente avvincente) di metamorfosi da Istituzione comunale a Fondazione e avendo la porta del mio ufficio costantemente aperta alle rappresentanze sindacali. Era il periodo in cui si stava discutendo e negoziando il nuovo Contratto Integrativo aziendale e i colloqui erano costanti sia per le posizioni dei singoli lavoratori che, soprattutto, per verificare ininterrottamente la situazione generale della neonata Fondazione. Posso assicurare l’avvocato Bergamasco che, nei pochi anni in cui ho coperto il ruolo di Presidente, tutte le rappresentanze sindacali, di qualsivoglia orientamento esse fossero, anche quelle più lontane da possibili simpatie con l’Amministrazione comunale dell’epoca, erano ricevute stabilendo un dialogo proattivo. Anzi, le rappresentanze sindacali erano addirittura raddoppiate: quelle dei lavoratori dello spettacolo e quelle dei lavoratori pubblici (almeno fino alla conclusione del periodo di “transizione” da Istituzione a Fondazione). Possiamo chiamare quei pochi anni della mia presidenza (2009-2012) anni di “pax
sindacale”? Se lo desidera. Ma le posso assicurare che furono anche anni di negoziati intensissimi, per nulla scontati, e di ristrettezze dovute ad una crisi economica terribile di cui abbiamo forse oggi solo un vago ricordo. Si può solo immaginare la tensione dovuta all’annuncio dell’allora Ministro Bondi della riduzione di oltre la metà del Fondo Unico dello Spettacolo. Correva l’anno 2011.
Ma lo stesso Estense.com ricorda giustamente che le cose non sono sempre andate in questo modo. Si rievoca la crisi del 2013 con una forte tensione (e sciopero) fra i lavoratori e le lavoratrici e i vertici della Fondazione. Non pare che in quel frangente le rappresentanze sindacali avessero fatto sconti pur essendo l’Amministrazione comunale di orientamento diverso da quello attuale. E vorrei ricordarle il fortissimo attrito, ben più grave, che ebbe luogo nel novembre del 2008 in cui si rischiò di far saltare niente meno che la “prima” del “Fidelio” di Beethoven con la direzione di Claudio Abbado. Da quella tensione fra i vertici del Teatro Comunale e i sindacati (tutti) nacque un
accordo per la stabilizzazione a tempo indeterminato di diversi dipendenti. Stava per saltare una “prima” di un’opera che aveva una risonanza mondiale e il mancato debutto avrebbe avuto conseguenze catastrofiche e non solo a livello di immagine.
È quindi totalmente falso che in passato, quando la città di Ferrara è stata gestita da Amministrazioni di orientamento politico diverso da quello attuale, non ci fossero conflitti sindacali all’interno del Teatro Comunale. Al contrario, ci sono stati contrasti e frizioni incandescenti che hanno portato anche a rotture clamorose e poi a negoziazioni e a ricomposizione dei conflitti. Ed è quindi altrettanto falso che ci fossero sindacati e amministrazioni vicine e conniventi. C’è stata in passato, questo sì, la volontà di tutti di abbassare i toni e di pensare che il “bene Teatro” fosse anche un “bene comune”, un bene della Comunità, un bene pubblico. Ogni volta che c’è stato un ripiegamento sulle proprie posizioni, una mancanza di disponibilità a discutere, un irrigidimento di qualsiasi delle parti, sono nati conflitti. D’altra parte il teatro è fatto di persone e da persone.
Con l’augurio sincero di buon lavoro,
Fabio Mangolini
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