di Paolo Aresi
«Io immagino la cascina Ponchia come un luogo aperto dove i ragazzi autistici possano vivere. Una casa dove potere uscire la mattina e dove la gente del quartiere può entrare; una casa vera, non un contenitore, dove i ragazzi siano accolti, ma anche possano accogliere. So che è una sfida, però ormai ci siamo».
Tino Manzoni, 67 anni, sta per coronare un desiderio che lo ha accompagnato per oltre metà della sua vita: dare alle persone autistiche un luogo dove stare bene, dove potere esprimersi, dove coltivare anche delle relazioni. A modo loro.
La cascina Ponchia si trova al Monterosso, nella via che porta lo stesso nome della casa, per anni era stata un centro giovanile, oggi passa ai ragazzi autistici. Potranno venire ospitate a viverci dodici persone. L’inaugurazione dovrebbe avvenire ai primi di dicembre. La gestione sarà dell’associazione Spazio Autismo insieme alla cooperativa Serena.
Tino Manzoni, lei è l’anima di questa impresa.
«Ce l’ho messa tutta, ho trovato persone sensibili, che mi hanno ascoltato, anche in Comune a Bergamo, anche tra i privati. In questi trentacinque anni di impegno ho sempre trovato gente che mi ha ascoltato. Non bisogna stancarsi mai».
Perché si è buttato in questa avventura?
«Mio figlio Stefano ha trentacinque anni, è autistico. Io lavoravo come capofficina in una azienda meccanica. Mi sono licenziato, ho cominciato a fare l’artigiano, imbianchino e mi hanno dato del matto. Ma l’ho fatto per avere più elasticità nel lavoro, in modo da potere seguire mio figlio. Ho fatto la scelta giusta».
Quanti ragazzi seguite con Spazio Autismo?
«Centocinquanta, più ci sono i sessanta della musicoterapia, è un progetto orchestrale che si chiama “La nota in più”. Domenica mattina, 17 novembre, facciamo (…)
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