Molto è stato fatto per ridurre le differenze salariali tra uomini e donne. Ma tanto, tantissimo resta da fare. C’è un dato, non numerico e riferito all’intero continente, che fotografa benissimo la situazione: considerato lo scarto tra i redditi medi è come se le donne lavorassero un mese e mezzo senza retribuzione, dal 15 novembre fino al 31 dicembre.
E in regione? Le cose vanno un pochino meglio, con il gap che si sta – fortunatamente – assottigliando in maniera sensibile, anche grazie a un significativo aumento dell’occupazione femminile nei primi sei mesi di quest’anno. Nel 2022 le lavoratici del Friuli Venezia Giulia, in media, hanno dichiarato un reddito complessivo inferiore di oltre 10.200 euro rispetto a quello degli uomini (19.324 euro contro 29.586, pari al 34,7 per cento in meno). Negli ultimi anni tale differenza si è leggermente ridotta (cinque anni prima si attestava al 35,3 per cento, 17.034 euro contro 26.339).
Le differenze in numeri
L’analisi del contesto regionale deve partire da una premessa doverosa: solo la provincia autonoma di Trento ha un gender gap occupazionale inferiore al Friuli Venezia Giulia, dove la differenza tra occupati uomini e donne al lavoro è scesa all’11,3 per cento. A giugno il tasso di occupazione femminile era del 64,5 per cento, oltre 2,5 punti percentuali in più a rispetto allo stesso periodo del 2023. Un’esauriente fotografia della situazione sui salari è fornita da un recente lavoro di Chiara Cristini, ricercatrice dell’Istituto di ricerche economiche e sociali del Friuli Venezia Giulia.
La provincia in cui la differenza salariale è minore è Gorizia (7.574 euro), che ha però anche i redditi medi più bassi, mentre la forbice più ampia si registra a Udine, dove le donne guadagnano in media 9.755 euro in meno all’anno rispetto agli uomini. Le notevoli disparità esistenti si ripercuotono inevitabilmente anche sui redditi pensionistici, perpetuando la distanza rispetto alla componente maschile anche dopo il termine della vita lavorativa.
Basti considerare che, pur costituendo complessivamente il 49 per cento dei contribuenti della nostra regione, le donne sono appena il 26 per cento tra i più “ricchi” (quelli che superano i 40 mila euro).
Alla radice del problema
Contribuiscono a questo quadro tre fattori cruciali: la minor occupazione femminile e, all’interno di questa, un maggior ricorso al tempo parziale, legato a doppio filo alle esigenze di conciliazione famiglia-lavoro, quello che con un anglicismo è definito work-life balance. E, terzo aspetto, la scarsa presenza delle donne nei ruoli apicali: nel privato tre dirigenti su quattro sono maschi. Il nucleo in cui germoglia la differenza salariale è legato, secondo Cristini «all’organizzazione aziendale. Le imprese talvolta neppure si accorgono di attuare misure che vanno nella direzione di un divario salariale. Ci sono ragioni legate alla disponibilità in termini di tempo, alla maggior propensione degli uomini a “lanciarsi”, al tipo di percorsi di studio.
E poi il maggior ricorso al part time delle donne rispetto agli uomini. Ma – analizza – c’è anche un ecosistema che non funziona: si pensi ai servizi per le famiglie che mancano, che sono troppo costosi o che non combaciano con gli orari dei lavoratori». Qualcosa però sta migliorando «al netto di una certa cristallizzazione degli atteggiamenti da parte delle aziende che, spesso, non sono voluti: molte imprese stanno percorrendo la strada delle certificazioni di genere e le aziende con più di cinquanta dipendenti è obbligato a presentare una fotografia puntuale a cadenza biennale».
L’impegno della regione
La Regione in questi anni ha messo in campo misure significative per cercare di ridurre il gender pay gap. Dai provvedimenti sulla responsabilità sociale d’impresa agli incentivi per l’assunzione di donne, l’amministrazione ha adottato provvedimenti «che hanno permesso di migliorare la situazione», rileva l’assessore regionale al Lavoro, Alessia Rosolen, «con una riduzione significativa delle differenze salariali e un gap occupazionale tra i più bassi d’Italia».
Le misure nazionali
E a Roma? «Il governo adotterà ulteriori misure di sostegno volte a rimuovere le barriere che ostacolano l’accesso delle donne al mercato del lavoro e a ridurre i fattori discriminatori. Tra queste misure vi sono l’aumento dell’assegno unico universale, il potenziamento dei bonus per gli asili nido e le agevolazioni fiscali per le imprese che assumono donne svantaggiate», spiega Walter Rizzetto, presidente della Commissione lavoro della Camera. «È inaccettabile che permangano forbici così ampie nel salario tra uomini e donne.
E il problema attiene non solo e non tanto la politica, quanto le aziende. Rispetto a questo problema stiamo ragionando su un disegno di legge, di iniziativa parlamentare o governativa».
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