Dopo anni in discesa, il dato delle imprese italiane a rischio usura torna a crescere e tocca quota 118mila. L’aumento, rispetto al 2023, è di oltre 2.600 unità.
Si tratta prevalentemente di artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Di fatto, questa “schedatura” preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito.
Secondo i dati rielaborati dall’Ufficio studi CGIA, inoltre, un’impresa a rischio su 3 è nel Sud e recentemente la situazione è fortemente peggiorata a Benevento, Chieti, Savona, Rieti e Lecce.
Il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane.
Al 30 giugno scorso, Roma era al primo posto con 10.827 aziende: subito dopo troviamo Milano con 6.834, Napoli con 6.003, Torino con 4.605 e Firenze con 2.433.
Rispetto a 12 mesi prima, in termini percentuali, il peggioramento ha interessato innanzitutto Benevento con il +17,3% di imprese affidate con sofferenze (in valore assoluto +97). Seguono Chieti con il +13,9% (+101), Savona con il +12,4% (+62), Rieti con il +11,8% (+25) e Lecce con il +11,4% (+179).
Se analizziamo i dati per ripartizione territoriale, ci accorgiamo che l’area più a “rischio” è il Sud: qui si contano 39.538 aziende in sofferenza (pari al 33,6% del totale), seguono il Nordovest con 29.471 imprese (25% del totale), il Centro con 29.027 (24,7% del totale) e infine il Nordest con 19.677 (16,7% del totale).
Se il Mezzogiorno è l’area geografica d’Italia più a rischio usura, i proventi di queste attività illegali vengono sempre più reinvestiti al Nord. Negli ultimi tempi, infatti, le indagini effettuate dalla Direzione Investigativa Antimafia dimostrano come il denaro contante proveniente dalle attività criminali primarie, come l’usura, venga reimpiegato con sempre maggiore frequenza in determinate aree dell’Italia, soprattutto settentrionale (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, ecc.).
Un fattore da non sottovalutare, poiché chi finisce nella black list della Centrale dei Rischi difficilmente può beneficiare di alcun aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di scivolare tra le braccia degli usurai.
Paolo Zebeo afferma: “Per evitare che questa criticità si diffonda, la CGIA continua a chiedere il potenziamento delle risorse a disposizione del Fondo di prevenzione dell’usura, strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità. È bene ricordare che gli imprenditori che vengono segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. Nella maggioranza dei casi, infatti, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere con regolarità i pagamenti dei propri committenti o per essere caduti in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi”.
Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2011 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese italiane. A fronte dei 1.017 miliardi di euro erogati verso la fine del 2011, siamo scesi a 711,6 miliardi del febbraio 2020 (inizio pandemia). Dopo l’incremento avvenuto durante il periodo Covid che ad agosto 2022 aveva innalzato lo stock erogato a 757,6 miliardi di euro, è ripresa la riduzione e a settembre di quest’anno si è attestata a 667 miliardi. In 12 anni, rispetto al picco massimo erogato nel 2011, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari, pari al -52,4%.
Gli effetti della crisi del debito sovrano (2012-2013), le restrizioni normative imposte dalla BCE alle banche per limitare la proliferazione degli NPL e, in parte, anche il calo della domanda di credito, sono le cause di questa caduta verticale. Pertanto, non è da escludere, anzi, che la chiusura dei rubinetti del credito praticata dal sistema bancario abbia contribuito a spingere involontariamente molti lavoratori autonomi e altrettanti piccoli imprenditori a corto di liquidità verso le organizzazioni malavitose che, mai come nei momenti difficili, hanno la necessità di reinvestire nell’economia legale i denari provenienti dalle attività criminali.
La senatrice Enza Rando, responsabile Legalità e Lotta alle Mafie del Partito Democratico, ha affermato: “La crisi economica e finanziaria, il blocco del credito alle aziende in crisi, apre le porte alla criminalità. L’usura rappresenta una delle direttrici attraverso le quali le organizzazioni criminali si infiltrano nel tessuto economico. Come ribadito anche dalla Cgia Mestre, i fenomeni estorsivi si verificano al sud Italia ma poi i proventi di queste attività illegali vengono quasi sempre più reinvestiti al Nord”. Su questo tema, invece, il governo è finora assente.
Salvatore Rondello
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