Grottazzolina (Fermo), 19 novembre 2024 – Avevano creato un’organizzazione dedita al caporalato in fabbrica e avevano commesso reati di estorsione e intermediazione illecita di manodopera, perdurati nel tempo, a danno degli oltre 50 lavoratori di un’azienda alimentare di Grottazzolina.
Per questo motivo un imprenditore, sua moglie, altri tre soci e un cosiddetto “caporale”, di nazionalità cinese e italiana, sono stati denunciati dalla Guardia di Finanza di Fermo per associazione a delinquere al termine dell’operazione denominata “tempi supplementari”.
La Guardia di Finanza in azione nell’azienda alimentare di Grottazzolina, in provincia di Fermo
Nell’ambito dell’indagine gli investigatori delle Fiamme Gialle hanno eseguito un sequestro preventivo di un milione e 700mila euro sui conti correnti dell’azienda. Le attività, anche di carattere tecnico, scaturite dalla denuncia di un ex dipendente extracomunitario, licenziato dall’azienda per essersi recato al pronto soccorso a causa di un grave infortunio verificatosi durante le ore lavorative, hanno consentito di acclarare lo stato di sfruttamento in cui versava l’intera forza lavoro presente nello stabilimento di Grottazzolina. Le perquisizioni effettuate, che hanno interessato anche i locali aziendali, oltre a rilevare, grazie alla collaborazione dei vigili del fuoco e dell’Azienda sanitaria territoriale di Fermo, numerose irregolarità alla disciplina in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro ed in materia sanitaria, hanno permesso, sulla scorta delle dichiarazioni rese da tutti i dipendenti e raccolte dai finanzieri del Nucleo mobile e dal personale messo a disposizione dall’Ispettorato territoriale del lavoro di Ascoli Piceno, di far emergere una situazione di grave sfruttamento. Una realtà inquietante fatta emergere anche grazie alla minuziosa analisi condotta con l’ausilio di personale qualificato della “computer forensics e data analysis”, del materiale documentale e informatico sottoposto a sequestro. Contrattualizzati per un massimo di 16 ore settimanali, ma costretti a lavorare per almeno 12 ore al giorno, con un unico giorno di riposo e senza la possibilità di fruire di giorni di ferie o comunque di assentarsi per qualsiasi tipo di problematica, compresa la malattia. Queste solo alcune delle stringenti condizioni cui dovevano sottostare i dipendenti dell’azienda, perlopiù cinesi e bengalesi. Tali regole, non scritte, ma perentorie prevedevano la decurtazione della paga per chi non le rispettava e il licenziamento dei recidivi. Chi veniva assunto, per il primo mese riceveva, senza alcuna ragione, il 50% del compenso, senza possibilità di replica. Formalmente i dipendenti percepivano la tredicesima e la quattordicesima ma per mantenere il posto di lavoro – essenziale per il rinnovo del permesso di soggiorno – dovevano restituire tutto al proprio datore di lavoro.
Nessun compenso per le ore di straordinario effettuate, 30 minuti di pausa pranzo e l’accesso ai servizi igienici, ma per un massimo di 5 minuti alla volta e non troppe volte al giorno, altrimenti il “caporale” decurtava un’ora di lavoro. Il rilevante sequestro preventivo operato sui conti aziendali, che si sono rivelati “capienti” rispetto all’ammontare del provvedimento cautelare, tiene conto di tutte le ore di lavoro effettuate e non retribuite e dei relativi contributi che non sono stati versati per ogni singolo dipendente aziendale.
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