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La Cassazione frena sulla possibilità di ritenere nulle tout court le clausole contrattuali dei mutui agganciati ai tassi Euribor a fronte di una intesa restrittiva della concorrenza fra alcune banche. Per la Terza sezione civile (12007/2024), che sul punto fissa tre rilevanti principi di diritto, se l’istituto non è coinvolto o comunque “consapevole” la clausola non è nulla. Essa, tuttavia, può ritenersi viziate da parziale nullità, se si prova che l’alterazione del parametro ha effettivamente inciso nello specifico rapporto contrattuale. In tal caso qualora non sia possibile ricostruirne il valore “genuino” del tasso, cioè depurato dell’abusiva alterazione, le conseguenze andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento. Con una articolata decisione, in “considerazione del rilievo, sia giuridico che sociale” della questione, la Cassazione torna a pronunciarsi correggendoin parte l’unico precedente sul punto, l’ordinanza n. 34889 del dicembre scorso secondo cui invece sarebbe in ogni caso ravvisabile una nullità direttamente derivante dalla natura del singolo contratto stipulato con riferimento all’Euribor, quale «contratto “a valle” dell’intesa restrittiva della concorrenza», cioè quale “applicazione” di quell’intesa.

Per tutelare ugualmente “in modo adeguato i contraenti e le regole della libera concorrenza”, la Corte chiarisce che quando una clausola negoziale “contenga un riferimento ad un parametro quantitativo esterno, in ragione del meccanismo di determinazione di tale parametro, e quel parametro esterno venga illecitamente alterato da un’intesa restrittiva della concorrenza, si verifica una nullità parziale (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), per impossibilità di determinazione dell’oggetto della clausola stessa, per il periodo in cui è stata in concreto sussistente l’alterazione illecita”. Il parametro alterato, infatti, argomenta la decisione, “non corrisponde a quello che nel contratto le parti hanno inteso richiamare e non è possibile la determinazione del parametro effettivamente richiamato (cioè, quello non alterato), se la sua misura, depurata dell’illecita alterazione, non sia ricostruibile”.

Secondo questa impostazione, definita “corretta”, la cd. “clausola Euribor” – anche in caso di accertamento di pratiche illecite dirette ad alterare il suo valore – non può dirsi di per sé nulla, in generale, perché costituente “applicazione” di un’intesa illecita e vietata restrittiva della concorrenza (salvo il solo caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente inteso avvalersi degli effetti dell’illecita alterazione, al momento della stipula). Essa, però, potrebbe risultare viziata da parziale nullità per impossibilità di determinazione del suo oggetto, se ed in quanto l’intesa illecita vietata abbia in sostanza ed in concreto fatto venir meno o, se non altro, reso incompatibile con l’autoregoamentazione degli interessi delle parti oggetto del contratto stipulato, il parametro esterno di riferimento da queste effettivamente voluto (cioè, quello “genuino” e non quello “alterato”) e nei limiti in cui il parametro genuino non sia ricostruibile.

Occorre dunque necessariamente fornire la prova, non solo dell’esistenza di una intesa ma anche del fatto che tale intesa abbia raggiunto il suo obbiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente “alterato” in concreto. Valutando: a) se le pratiche manipolative non siano rimaste a livello di mero tentativo; b) se e per quale tempo ed in quale misura tale alterazione abbia inciso; c) quali siano le conseguenze della eventuale nullità parziale delle relative clausole sul complessivo assetto negoziale e sulla possibilità di una sostituzione automatica – ed in quali termini – con previsioni minimali di legge.

Così ricostruito il quadro, allora la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 che ha portato alla luce una ad una intesa restrittiva della concorrenza fra otto delle principali banche europee per la determinazione del tasso Euribor (decisione alla base dell’unico di Cassazione), è certamente una “prova privilegiata”, ma sarà poi comunque indispensabile fornire le prove concrete del danno subito per qualificare come inefficace, per tutto il periodo in cui ha prodotto conseguenze l’intesa illecita, la clausola negoziale contenente.

Prove che però, prosegue la Corte, non sono state fornire nel caso specifico e cioè un ricorso volto a far accertare la nullità della clausola del contratto di mutuo agganciata al tasso Euribor per il periodo 2005-2008 che infatti sotto questo profilo è stato rigettato.

Da qui l’affermazione sei seguenti tre principi di diritto.

1. «I contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE»;

2. «Le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse»;

3. «In tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento».

La Corte poi fissa un altro interessante principio in tema di esecuzione: «Nel caso in cui venga stipulato un complesso accordo negoziale in cui una banca concede una somma a mutuo e la eroghi effettivamente al mutuatario (anche mediante semplice accredito, senza consegna materiale del danaro), ma, al tempo stesso, si convenga altresì che tale somma sia immediatamente ed integralmente restituita dal mutuatario alla mutuante (e se ne dia atto nel contratto), con l’intesa che essa sarà svincolata in favore del mutuatario stesso solo al verificarsi di determinate condizioni, benché debba riconoscersi come regolarmente perfezionato un contratto reale di mutuo, deve però escludersi, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., che dal complessivo accordo negoziale stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della somma stessa (che è già rientrata nel patrimonio della mutuante), in quanto tale obbligazione sorge – per volontà delle parti stesse – solo nel momento in cui la somma in questione sia successivamente svincolata in suo favore ed entri nuovamente nel suo patrimonio; di conseguenza, deve altresì escludersi che un siffatto contratto costituisca, da solo, titolo esecutivo, essendo necessario un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) che attesti l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, solo in seguito a quest’ultimo risorgendo, in capo a questa, l’obbligazione di restituzione di quella somma».

 

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