E così l’inossidabile Angelo Sticchi Damiani ce l’ha fatta. A 79 anni suonati ha ottenuto il quarto mandato da presidente dell’Automobile Club d’Italia, l’unica fra le federazioni sportive a gestire da quasi un secolo (1927) un servizio pubblico come il Pra-Pubblico Registro Automobilistico. Servizio che peraltro garantisce ogni anno entrate dell’ordine dei 300 milioni, mica bruscolini.
Una prerogativa messa perennemente in discussione, anche per essere un pressoché inutile doppione del Registro della Motorizzazione Civile. Che però il suo presidente, contemporaneamente anche presidente di Sara Assicurazioni e Aci Informatica, da 12 anni riesce a difendere con unghie e denti.
Quel salasso dell’Aci a favore del Tesoro: 50 milioni
Per avere un’idea del peso dell’Aci basta ricordare che alla presidenza di Aci Milano, uno dei più grandi e influenti della federazione, c’è Antonino Geronimo La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio. Il che a maggior ragione fa risaltare ciò che c’è scritto nell’articolo 116 della manovra appena sfornata dal governo. E cioè che dal 2025 ogni anno l’Aci di Sticchi Damiani dovrà versare all’Erario 50 milioni.
Una botta tremenda, considerato che il fatturato dell’Aci, grazie al Pra, si aggira intorno ai 445 milioni e il bilancio chiude in pareggio anche in virtù dei contributi pubblici (27 milioni), parte dei quali (18 circa) destinati al mantenimento del Gran Premio d’Italia di Formula 1.
Se non è chiaro a che cosa l’imposizione di un sacrificio economico tanto rilevante può preludere, di certo non sorprende che in questa situazione il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti prenda dove può. E qui evidentemente può: impossibile che non ci sia il via libera del ministro competente, cioè il capo del suo partito Matteo Salvini.
I perché di una manovra senz’anima firmata Meloni-Giorgetti
Il prelievo, a ben vedere, appare coerente con l’impostazione di una manovra che a dispetto della propaganda appare decisamente senz’anima. Non è una manovra a favore dei ceti meno abbienti e delle famiglie: l’aumento di 3 euro al mese delle pensioni minime e il bonus di 1.000 euro per il terzo figlio difficilmente si conciliano con quei propositi.
Non è una manovra che incide su quelli che la narrazione populista definisce «poteri forti», visto che a banche e assicurazioni – difese dallo scudo di Forza Italia – è chiesto solo un anticipo di imposte. Nessun intervento poi su benefici, sussidi e agevolazioni di vario tipo distribuiti a pioggia sul sistema economico.
Alla sanità? Meno che nel 2009, quando Meloni era ministra
Soprattutto va detto che non è una manovra capace di prendere di petto il problema più grosso: una sanità disastrata in debito d’ossigeno.
La premier insiste nel sostenere che il Fondo sanitario non ha mai avuto tanti soldi: quest’anno 134,1 miliardi di euro. Vero, se si considera il valore monetario. Meno vero, se si tiene presente il dato reale. Che poi è quello importante.
Quindici anni fa, nella prima Finanziaria (2009) del quarto governo Berlusconi di cui Giorgia Meloni era ministro della Gioventù, il Servizio Sanitario Nazionale ebbe 104,5 miliardi. Una cifra che, secondo le tabelle di rivalutazione Istat, corrisponde a 137,4 miliardi attuali. Stanziamento reale quindi superiore non solo a quello di quest’anno ma anche del prossimo, quando alla somma si aggiungeranno gli 1,3 miliardi (meno dell’1% di aumento) previsto dalla manovra 2025. E nel 2009 la popolazione italiana era meno anziana di oggi, di conseguenza anche il fabbisogno era inferiore.
L’assist alla sanità privata convenzionata
In compenso, una sessantina di milioni in più andranno alla sanità privata in convenzione, giusto per non deludere il mondo che più beneficia da decenni ormai del ridimensionamento delle strutture pubbliche. E che conta nella politica significative presenze ormai storiche, come il fondatore di uno dei più importanti gruppi attivi nella medesima sanità privata convenzionata qual è il deputato ex forzista e ora leghista Antonio Angelucci. Punto di riferimento peraltro della stampa quotidiana filogovernativa.
I messaggi chiaramente politici
Per il resto, come accade quasi sempre, non ci dicono la verità. Per esempio, continuano ad affermare che tagliano le tasse, ma poi spuntano l’aumento da 70 a 90 euro del canone Rai e piccoli ritocchi a balzelli occultati in norme incomprensibili.
Senza ovviamente rinunciare ad alcuni messaggi chiaramente politici. Che cos’altro è l’introduzione di una tassa di 600 euro per chi affronta una controversia giudiziaria sul tema della cittadinanza italiana? E i 200 milioni stanziati per «centri di trattenimento e accoglienza» dei migranti?
Per non parlare degli 88 milioni destinati al Giubileo della Chiesa cattolica (perché quello non si tocca), dei quali 34,5 assegnati alla Regione Lazio del fratello d’Italia Francesco Rocca e 37 attribuiti alla società pubblica Giubileo spa. Oppure dei 110 milioni stanziati per lo sviluppo del settore turistico con «agevolazioni finanziarie a favore degli investimenti privati» sotto la direzione del ministero del Turismo di Daniela Santanché.
Non manca neppure il solito presente per il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: dopo i 2 milioni in più concessi l’anno scorso per il suo staff, ecco 3 milioni aggiuntivi per il Crea-Centro di Ricerche in Agricoltura, di cui l’anno scorso sono stati fedelmente rinnovati i vertici.
La verità è che sarà ricordata come una manovra che più di ogni altra, fra sforbiciatine ai ministeri, tagli alle consulenze Rai e giri di vite agli stipendi (non a quelli delle forze dell’ordine), raschierà il fondo del barile. Non tutto però: solo nei punti dove potrà farlo. (riproduzione riservata)
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