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Ho sottoscritto un contratto d’affitto della durata di cinque anni per un terreno agricolo di mia proprietà. Il signore a cui ho dato in affitto il terreno ha pagato solamente un anno di contratto. Dato l’importo tutto sommato esiguo del debito, circa tremila euro, cosa converrebbe fare per recuperare la somma e quali sono poi le effettive possibilità di recuperare il credito? Quanto mi verrebbe a costare l’assistenza di un legale per l’intero iter per recuperare suddetta somma?

La condotta di controparte costituisce grave inadempimento, atteso che si tratta di una mora che supera l’annualità: ai sensi dell’art. 5 della legge n. 203/82, la morosità del conduttore costituisce grave inadempimento ai fini della

pronunzia di risoluzione del contratto quando si concreti nel mancato pagamento del canone per almeno una annualità.

Trattandosi di un credito certo, liquido ed esigibile, per il recupero delle somme si potrà agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo: in pratica, sarà sufficiente dimostrare l’esistenza del contratto firmato da controparte per ottenere dal giudice competente un provvedimento (il decreto, appunto) con cui si ingiunge al debitore di pagare entro e non oltre 40 giorni, decorsi i quali il decreto diverrà esecutivo e non più impugnabile.

Prima di ricorrere all’autorità giudiziaria, però, la legge (art. 11, d. lgs. n. 150/2011) impone un preventivo tentativo di conciliazione. Per la precisione, chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia nelle materie agrarie è tenuto a darne preventiva comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio.

Il capo dell’ispettorato, entro venti giorni dalla comunicazione, convoca le parti ed i rappresentanti delle associazioni professionali di categoria da esse indicati per esperire il

tentativo di conciliazione.
Se la conciliazione riesce, viene redatto processo verbale sottoscritto dalle parti, dai rappresentanti delle associazioni di categoria e dal funzionario dell’ispettorato.

Se la conciliazione non riesce, si forma egualmente processo verbale, nel quale vengono precisate le posizioni delle parti.

Nel caso in cui il tentativo di conciliazione non si definisca entro sessanta giorni dalla comunicazione inviata con raccomandata a/r, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria competente.

Secondo la Corte di Cassazione, il tentativo di conciliazione è condizione di proponibilità della domanda giudiziaria anche nel caso di decreto ingiuntivo (Cass. Sez. III Civ. 20 marzo 2018, n. 6839).

Dunque, se il tentativo di conciliazione non va a buon fine, si potrà procedere davanti al giudice con ricorso per decreto ingiuntivo. Ottenuto il decreto ingiuntivo, questo va notificato entro 60 giorni alla parte debitrice. Dalla data dell’avvenuta notifica cominciano a decorrere i 40 giorni utili per l’opposizione. A questo punto, si prospettano due alternative al conduttore inadempiente:

  • fare opposizione al decreto ingiuntivo, dando vita a un procedimento in piena regola, nel quale tuttavia difficilmente il debitore potrà difendersi, se non adducendo eventuali inadempienze del locatore;
  • non opporsi e far diventare esecutivo il decreto ingiuntivo.

Una volta esecutivo, al debitore va notificato l’atto di precetto, cioè un avvertimento in cui si intima di pagare entro dieci giorni, pena l’inizio dell’esecuzione forzata nei suoi confronti. Decorsi anche questi dieci giorni, si potrà procedere in danno del debitore come meglio si crede.

È qui che entra in gioco la questione dell’effettiva possibilità di recupero. Se si ritiene che il debitore abbia un patrimonio aggredibile (uno stipendio, un reddito da lavoro dipendente o da lavoro autonomo, delle proprietà, mobili o immobili che siano), allora si potrà procedere ad esecuzione forzata.

Ad esempio, se il debitore è lavoratore dipendente, si potrà procedere con il pignoramento presso terzi dello stipendio. Se ha dei risparmi in banca o alle poste, si potrà procedere con il pignoramento di quelle somme. Ugualmente è possibile pignorare l’auto o altri beni mobili.

Meno conveniente è, invece, procedere con un pignoramento immobiliare, in quanto la somma da recuperare è esigua e i costi di una tale procedura esecutiva sono elevati. C’è il rischio di vedere soddisfatta la propria pretesa dopo molti anni e numerose spese di giustizia anticipate.

Se non si è a conoscenza del patrimonio del debitore, una volta notificato il precetto sarà possibile effettuare la ricerca telematica dei beni del debitore (art. 492 bis c.p.c.). Si tratta di una procedura che consente al creditore di scoprire di quali beni è titolare il debitore. In pratica, l’avvocato del creditore, una volta notificato il precetto, avanza una speciale istanza al presidente del tribunale (il costo è di soli 43 euro, il prezzo del contributo unificato) con cui chiede che l’ufficiale giudiziario sia autorizzato ad accedere, attraverso collegamento telematico diretto, ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni, e in particolare nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Si tratta di uno strumento pressoché infallibile per scovare i beni dei debitori.

A sommesso avviso dello scrivente, vale la pena procedere al recupero della somma se si ritiene di poter aggredire il patrimonio del debitore. Se, invece, si ha conoscenza del fatto che il debitore sia nullatenente, allora il rischio è quello di trovarsi con un titolo in mano (il decreto ingiuntivo esecutivo) praticamente inutile. Vero è, però, che il decreto ingiuntivo esecutivo ha validità decennale: pertanto, si potrà pensare di rivalersi sul debitore anche in un secondo momento, magari quando si hanno notizie più certe inerenti alla sua consistenza patrimoniale (si pensi a un’eredità sopraggiunta).

Per quanto riguarda i costi del procedimento, trattandosi di causa di valore inferiore ai 5.200 euro, il contributo unificato da pagare alla giustizia è di 43 euro (attesa l’applicazione del rito del lavoro), oltre a 27 euro di marca da bollo. Per quanto riguarda i costi legali, ogni avvocato è più o meno libero di variare la propria parcella, entro i parametri fissati dal decreto ministeriale del 2014, n. 55 (successivamente aggiornati nel 2018).

La parcella inoltre varia a seconda del tipo di attività dell’avvocato: una cosa è limitarsi al ricorso per decreto ingiuntivo, altra è dover affrontare l’intero procedimento nel caso di opposizione del debitore. Ci sono poi le spese per il precetto e l’eventuale pignoramento.

Ad ogni buon conto, va detto che la maggior parte degli avvocati, quando si tratta di recupero crediti, si rivale nei confronti del debitore, nel senso che la sua parcella viene “caricata” sul debitore. Ad esempio, quando il giudice accoglie il ricorso per decreto ingiuntivo, emette il decreto in cui comanda al debitore di pagare, entro 40 giorni, la somma che deve al creditore, calcolando anche le spese legali spettanti all’avvocato.

Ovviamente, se il debitore non paga perché è nullatenente, le spese dell’avvocato restano a carico del cliente che si è avvalso della sua opera professionale.

Tirando le fila di quanto detto sinora, in relazione ai quesiti posti si può così concludere:

  • il recupero dei crediti conviene se si presume o si ha certezza che il debitore abbia un patrimonio da aggredire, meglio se costituito da beni mobili e da liquidità (conti correnti, ecc.);
  • la parcella è stabilita dall’avvocato il quale però spesso si accorda con il proprio cliente nel senso di rivalersi sul debitore o, quantomeno, su ciò che si otterrà a seguito del recupero compiuto, accollandosi così il rischio di non ricevere niente in caso di fallimento della procedura (al netto del rimborso delle spese, ovviamente).

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avvocato Mariano Acquaviva

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