Poiché Ivrea non è un’isola indipendente, dobbiamo discutere non solo di buche sulle strade cittadine, ma occuparci anche di cosa accade a livello nazionale, a maggior ragione quando l’impatto sulle nostre vite può essere pesante.
Parliamo della finanziaria appena varata dal primo governo guidato da una esponente di quel partito erede dell’Msi (come testimonia la fiamma tricolore nel simbolo) che fra le tante cose che avrebbe dovuto abiurare ha scelto solo di abbandonare il suo profilo di “destra sociale”.
“Con questa manovra il governo delle destre conferma il suo carattere antisociale: sacrifici per i lavoratori e i ceti popolari, impoverimento ulteriore di ciò che resta di pubblico con nuovi tagli, salvaguardia di profitti e rendite.” – così commenta il responsabile nazionale lavoro di Rifondazione Comunista, Antonello Patta, che continua, “Il modello sociale che coltivano le destre è chiaro: protezione delle grandi ricchezze, degli evasori e della speculazione, il tutto a scapito dei redditi bassi con pensioni sempre più magre e salari reali agli ultimi posti in Europa; bonus e mance a sostegno di natalità e famiglie con importi risibili a fronte dei costi che dovranno affrontare per la mancanza di servizi aggravata dai nuovi tagli” e per primi saranno i Comuni che si troveranno a dover ridurre i servizi ai cittadini.
Del partito della presidente del consiglio, abbiamo nel nostro consiglio comunale un giovane e tenace rappresentante. Ci piacerebbe sentire da lui cosa pensa di questa finanziaria che di fatto applica in qualche modo l’agenda Draghi, impregnata di politiche di austerità, nonostante FdI fosse fieramente all’opposizione di quel governo.
Per toccare solo alcuni punti. Per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti si spacciano come aumenti i soldi già ottenuti due anni fa e oramai annullati da inflazione.
Sulle pensioni in pratica si va in continuità con il passato inserendo incentivi per restare al lavoro anche fino a 70 anni, un criterio d’età addirittura superiore di quello previsto dalla riforma Fornero (altro che abolizione!). Sulle pensioni minime (che riguardano più di 2,1 milioni di persone) l’aumento di 3 euro al mese che le porterà a 617€ è un insulto alla povertà (in campagna elettorale erano state promesse pensioni minime a 1000 euro).
Vengono ridotte le detrazioni sulle ristrutturazioni e su altre spese e le rimodula sulla composizione del nucleo familiare, penalizzando quindi gli anziani soli ma anche i giovani single.
Svanite nel nulla le promesse alla sanità: i 4,7 miliardi promessi si sono ridotti a 1,3 (con questa cifra non si raggiunge nemmeno la metà dei fondi necessari per tagliare le liste d’attesa, oggi 1 anziano su 4 rinuncia a curarsi per motivi economici e logistici). Saltano le assunzioni di medici e infermieri, ne erano state promesse 30 mila, tutto rimandato alla prossima legge finanziaria. E in questo scenario il governo ha aumentato il tetto per acquistare prestazioni dai privati.
Tutto il pubblico impiego viene colpito dal blocco parziale del turn over per il 2025, mentre per i contratti dei dipendenti pubblici del periodo 2022-24 sono previsti aumenti del 6% circa rispetto a un’inflazione del 18% col risultato di una perdita salariale superiore al 10%
La scuola subisce il taglio di 5660 posti agli insegnanti e 2174 al personale tecnico; nessun intervento per dare una prospettiva ai 250 mila precari (1 su 4) privati di diritti basilari.
Per gli enti territoriali – e questo ci interessa molto anche ragionando solo in termini locali – sono previsti 4 miliardi di tagli in 5 anni con pesanti conseguenze sui servizi pubblici, in particolare quelli sociali già insufficienti rispetto alla diffusione della povertà assoluta aumentata a 5 milioni e 600 mila persone.
I punti della manovra richiamati mostrano chiaramente il carattere antipopolare della finanziaria, ma è solo l’inizio di una fase regressiva. Col nuovo patto di stabilità accolto con favore dal governo e da quasi tutta l’opposizione ritornano i vincoli di spesa, che obbligheranno a tagli di 13 miliardi all’anno per sette anni. Si continua a ignorare la lezione del passato quando politiche di bilancio restrittive hanno aggravato ulteriormente la situazione sociale del paese distruggendo lo stato sociale, riducendo i consumi e gli investimenti, deprimendo l’economia e aumentando ancora di più la povertà, le disuguaglianze e il divario tra l’Italia e le economie più avanzate.
Si dovrebbe invece espandere la spesa sociale, investire nell’istruzione e nella formazione, nella tutela dell’ambiente, per l’occupazione nel lavoro, e smettere di destinare enormi risorse al riarmo, tagliare drasticamente le spese militari, alla “difesa”. Il paese, i Comuni, si devono difendere dalla povertà, non da fantomatici nemici. Non sono attaccati i nostri confini, è attaccata la giustizia sociale, è attaccato il territorio che va in frantumi, è attaccata la Costituzione.
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