Non più sostegni a chi compra l’auto, ma semmai a chi le produce impegnandosi ad aumentare i volumi. Non più la priorità del consumatore, quindi del mercato, ma un sostegno condizionato e controllato direttamente dal governo
D’accordo la coperta è corta, se si copre la difesa si scopre l’automobile. La difesa è una priorità, ma perché tagliare proprio gli incentivi all’auto annunciati con suon di grancassa e aspettative crescenti da Alfonso Urso fin dall’agosto scorso? Non si tratta di un taglietto, ma di ben 4,6 miliardi di euro pari all’80 per cento del fondo Automotive. In più, la logica della sforbiciata sembra seguire la svolta anti mercato che ha già alimentato la bizzarra proposta di infilare un guardiano del ministero nelle imprese che ricevono sostegni pubblici per almeno 100 mila euro, tutte le imprese dalla manifattura ai giornali. Anche questa volta sembra un fulmine a ciel sereno, così lo ha definito l’Anfia, l’associazione delle imprese della filiera, per non parlare di un colpo di mano che solleva un fumo ricattatorio. Sembra chiaro che il bersaglio sia l’unico fabbricante di auto di massa in Italia, cioè Stellantis che aveva chiesto incentivi per le vetture elettriche ai quali subordinare il mantenimento in Italia della capacità produttiva attuale e, forse, espanderla se il mercato si riprende.
La riduzione delle risorse (restano un miliardo e 200 mila euro) si accompagna a un cambiamento di fondo che il ministro del Made in Italy aveva già fatto capire: non più sostegni a chi compra l’auto, ma semmai a chi le produce impegnandosi ad aumentare i volumi. Non più la priorità del consumatore, quindi del mercato, ma un sostegno condizionato e controllato direttamente dal governo anche grazie all’ingresso di un revisore dei conti inviato dal ministero. Toccherà al Mef selezionare il “commissario politico”, ma a quanto pare Giorgetti e Urso, almeno fino a prova contraria, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. Il ministro delle Imprese conferma che “tutte le risorse andranno agli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica, la vera forza del made in Italy”. Per salvare il salvabile o favorire la transizione tecnologica? La domanda può sembrare retorica vista l’avversione ideologica verso la dimensione elettro-digitale dell’automobile. Ma siamo ottimisti e speriamo sempre in una “illuminazione”.
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