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In presenza di uno scoperto, la banca non può bloccare le rimesse fatte dal debitore: infatti il creditore può pignorare solo il saldo positivo del conto corrente bancario del debitore.

Non tutti i versamenti sul conto corrente possono essere pignorati dal creditore. Se, infatti, il saldo del conto è in rosso e, nel frattempo, il creditore abbia notificato un pignoramento presso terzi alla banca, quest’ultima non è tenuta a bloccare anche le rimesse fatte dal titolare del conto finché questi non abbia ripristinato lo scoperto esistente.

È quanto emerge da una recente sentenza della Cassazione [1].

Il creditore, infatti, ha sì la possibilità di procede al pignoramento di somme

nella diretta disponibilità del debitore, ma una volta che esse siano confluite nel conto corrente bancario del medesimo, il pignoramento può riguardare solo il saldo attivo e non i singoli versamenti. Ciò perché il contratto di conto corrente resta comunque in piedi nonostante l’esistenza di un pignoramento. Risultato: se il saldo è negativo, gli eventuali versamenti sul conto intervenuti dopo il pignoramento non sono pignorabili, in quanto hanno la funzione di ripristinare la cosiddetta provvista.

Detto in parole povere, il conto bancario con saldo passivo non è pignorabile e non lo sono neanche tutti i successivi versamenti fatti dal correntista o da terzi in suo favore finché lo scoperto non sia stato completamente ripristinato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 dicembre 2014 – 30 marzo 2015, n. 6393
Presidente Salmè – Relatore Vivaldi

Svolgimento del processo

A.A. e P.C. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 15.12.2010 che – in un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, a seguito di pignoramento presso terzi nei confronti della Banca San Francesco Credito Cooperativo di Canicattì e della mancata comparizione a rendere la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. di quest’ultima – ha rigettato l’appello confermando la sentenza di rigetto della domanda di accertamento da parte del primo giudice.

Resiste con controricorso illustrato da memoria la Banca San Francesco – Credito Cooperativo – Società Cooperativa a r.l..

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge artt. 543, 546, 549, 551, 552 c.p.c. e 1830 c.c..
Con il secondo motivo si denuncia motivazione incongrua, contraddittoria ed insufficiente.
Con il terzo motivo si denuncia violazione art. 615 e 611, 629, 631 e 543 e segg. c.p.c. motivazione contraddittoria ed incongrua.
I tre motivi, intimamente connessi, sono esaminati congiuntamente.
Essi non sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono.
In tema di conto corrente l’art. 1830, comma 1, c.c. dispone che “se il creditore di un correntista ha sequestrato o pignorato l’eventuale saldo del conto spettante al suo debitore, l’altro correntista non può con nuove rimesse pregiudicare le ragioni del creditore. Non si considerano nuove rimesse quelle fatte in dipendenza di diritti sorti prima del sequestro o del pignoramento”.
Questa norma non è direttamente applicabile al conto corrente bancario per non essere richiamata dall’art. 1857 c.c..

Ciò è dovuto al fatto che mentre, nel conto corrente ordinario le reciproche rimesse sono inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto (il saldo del quale è esigibile alla scadenza stabilita: art. 1823 c.c.), in quello bancario, invece, il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito; ne deriva, quindi, che la norma dell’art. 1823 c.c. non si applica a tali operazioni (Cass. 25.2.1999 n. 1638; Cass. 17.7.1997 n. 6558).
Peraltro, alla stessa limitazione – dettata dall’art. 1830 c.c. in tema di conto corrente bancario -, con riferimento alla pignorabilità e di sequestrabilità si perviene in via interpretativa.
Un tale conto, infatti, da luogo ad un rapporto giuridico unitario, che il terzo creditore non può scindere per beneficiare delle sole poste attive del proprio debitore, trascurando, invece, quelle negative.
Mentre, dunque, il creditore ben può direttamente pignorare somme che siano nella diretta disponibilità del proprio debitore, una volta che esse siano, invece, affluite sul conto corrente bancario il pignoramento può riguardare il solo eventuale saldo positivo, ma non i singoli versamenti; e ciò perché il pignoramento non risolve il contratto di conto corrente (così anche Cass. 25.2.1999 n. 1638).
Ora, nel caso in esame, entrambi i giudici del merito hanno accertato – con valutazione non censurabile in sede di legittimità appartenendo un tale accertamento di fatto agli stessi – che “Il saldo (del conto) è stato costantemente negativo nel lungo periodo compreso tra il pignoramento ed 30 settembre 2000 come esposto e i vari versamenti hanno comportato la mera riduzione dello scoperto”.
Si ricorda che si tratta di un conto corrente affidato, con la conseguenza della irrilevanza degli eventuali versamenti successivi al pignoramento che, finalizzati a ridurre o ad estinguere il saldo debitore, hanno soltanto carattere ripristinatorio della provvista, senza obblighi restitutori a carico della banca nei confronti del titolare del conto.
La conseguenza è ovvia.
Il carattere negativo costante del saldo di conto corrente esclude, quindi, l’applicabilità della norma di cui all’art. 543 c.c. per il quale il pignoramento produce i suoi effetti, tra i quali – con riferimento al terzo pignorato – l’inopponibilità rispetto al creditore pignorante di una qualsiasi fattispecie estintiva sopravvenuta; ma tutto ciò a patto che, alla data della notificazione del pignoramento, il conto corrente presenti un saldo attivo.
Ciò che vuoi dire che si tratti di un pignoramento positivo.
Corretta quindi, sul punto, la statuizione di merito.
Non diversamente, prive di pregio si presentano le censure evidenziate (con il secondo motivo) con riferimento alla mancata ammissione di una c.t.u. contabile al fine di verificare le movimentazioni del conto corrente.
Da un lato, infatti le precedenti conclusioni tolgono rilevanza alla censura.
Dall’altro, si sottolinea, ancora una volta, che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze; come tale è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito.
Né della sua mancata ammissione il giudice del merito deve dare conto – peraltro nel caso non risulta essere mai stata richiesta – rientrando piuttosto nel potere discrezionale dello stesso giudice disporla o meno (fra le tante Cass. 13.3.2009 n. 6155).
Gli ulteriori rilievi involgono tutti questioni – come denunciato in particolare con il terzo motivo che fa leva sul presunto vincolo di indisponibilità nascente dall’eseguito pignoramento, non tenuto in debito conto – da un lato, sottratte alla censurabilità in sede di legittimità e, dall’altro, ininfluenti per le conclusioni già raggiunte.
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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