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Lo schema di decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri
il 23 maggio scorso contenente “disposizioni urgenti in materia
di semplificazione edilizia e urbanistica
”, ribattezzato dallo
stesso Ministero delle Infrastrutture “Decreto
Salva-Casa
”, contiene anche una disposizione in materia di
procedimento di repressione dell’abusivismo edilizio, intervenendo
sul comma 5 dell’art. 31 del DPR n. 380/2001 che
disciplina la fase finale del procedimento
sanzionatorio e, segnatamente, quella della demolizione
d’ufficio dell’immobile
ormai acquisito al
patrimonio comunale
, come conseguenza
dell’inottemperanza da parte dell’autore
dell’abuso all’ingiunzione di demolizione entro il termine di
90 giorni.

Il procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi

Recentemente, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato, con

sentenza 11 ottobre 2023, n. 16
, ha fornito una ricostruzione
sistematica del complesso procedimento
sanzionatorio
, che risulta strutturato in quattro
fasi:

  1. la prima fase si apre con
    l’accertamento istruttorio sull’esistenza
    dell’illecito urbanistico e si conclude con una ordinanza
    dirigenziale che ingiunge al proprietario e al responsabile
    dell’abuso la demolizione entro 90 giorni dalla notifica, indicando
    anche l’area che viene acquisita di diritto in caso di
    inottemperanza;
  2. la seconda fase che si attiva una volta
    trascorso il termine di 90 giorni o quello
    maggiore oggetto di proroga che il destinatario dell’ordinanza di
    demolizione può chiedere sussistendo ragioni oggettive che rendano
    impossibile il completamento della demolizione nel termine
    assegnato. Tale fase si sostanzia in un
    sopralluogo, del quale viene redatto un
    verbale alla presenza della polizia municipale,
    con cui si accerta l’avvenuta esecuzione o meno dell’ordinanza di
    demolizione. In caso positivo, il procedimento si chiude; in caso
    negativo, l’amministrazione prende atto che si è attuata
    l’acquisizione ope legis al patrimonio comunale del bene
    abusivo descritto nell’ordinanza ed eventualmente delle aree meglio
    specificate nel verbale di accertamento; scaduto il termine
    di 90 giorni
    (o quello prorogato), l’autore dell’abuso non
    può più presentare l’istanza di accertamento di
    conformità
    , non essendo più proprietario del bene;
  3. la terza fase, si apre con la notifica
    all’interessato dell’accertamento
    dell’inottemperanza
    che costituisce titolo sia per
    l’immissione nel possesso del bene che per la trascrizione
    dell’acquisto a titolo originario nei registri immobiliari.
    Nonostante si tratti di una fattispecie di acquisto che opera di
    diritto come conseguenza della mancata demolizione nei termini, la
    giurisprudenza più recente ha ritenuto necessario per il
    completamento della fattispecie – sia pure con effetto dichiarativo
    – la notifica dell’accertamento
    dell’inottemperanza
    anche al fine di consentire al
    destinatario di tale sanzione afflittiva di poter far valere la non
    imputabilità della mancata ottemperanza nei termini; l’adozione di
    tale atto è, inoltre, fondamentale per poter procedere alla
    trascrizione dell’acquisizione del bene al patrimonio
    comunale
    , anche al fine di rendere pubblico nei rapporti
    con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e
    consolidarne gli effetti: è per tale ragione che il ritardo
    o l’omissione di tali adempimenti
    debbono ritenersi
    rilevanti sul piano della valutazione della performance del
    dirigente o funzionario responsabile
    , nonché sul piano
    disciplinare e della responsabilità amministrativo-contabile, alla
    stessa stregua dell’omissione dell’irrogazione – una volta
    accertata l’inottemperanza – della sanzione pecuniaria di cui al
    comma 4 bis dell’art. 31 del DPR 380/2001;
  4. infine, la quarta fase riguarda la gestione
    del bene entrato a far parte del patrimonio comunale (1). La scelta
    fondamentale del legislatore statale di fronte a illeciti
    urbanistici gravi
    è quella di procedere alla demolizione;
    la Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del 2018 ha,
    infatti, affermato che rientra tra i principi fondamentali in
    materia di “governo del territorio” la regola della
    demolizione dei beni abusivi acquisiti al patrimonio comunale; in
    coerenza con tale assetto normativo e giurisprudenziale, la Corte
    di cassazione afferma che “l’esito finale ordinario dell’abuso
    edilizio è costituito dalla demolizione del manufatto abusivo

    (Cfr. Cass. pe., III, 4.9.2023, n.36579), salvo il caso eccezionale
    in cui l’amministrazione ritenga di evitare la demolizione
    dell’immobile ormai entrato nel suo patrimonio per soddisfare
    interessi pubblici.

La novella normativa riguarda proprio questa parte eventuale ed
eccezionale del procedimento sanzionatorio, che vede come
protagonista il consiglio comunale.

La demolizione d’ufficio dell’abuso edilizio

Secondo l’ordinario iter del procedimento sanzionatorio,
l’ufficio una volta acquisito il bene abusivo al patrimonio
comunale deve procedere a demolirlo d’ufficio (2),
anticipando le spese che poi debbono essere
recuperate in capo al responsabile dell’abuso;
l’acquisizione del bene non è finalizzata,
infatti, nel disegno del legislatore, ad accrescere il patrimonio
comunale ma a rimuovere un ostacolo alla sua
demolizione
, in vista della quale il comune deve
immettersi nel possesso del bene (3). La giurisprudenza ritiene che
anche dopo l’acquisizione del bene al patrimonio comunale l’autore
dell’abuso possa ancora procedere a demolire a proprie spese il
bene abusivo: ma, essendo ormai quest’ultimo transitato nel
patrimonio comunale, deve ottenere la preventiva
autorizzazione da parte del comune
.

Alla demolizione si provvede, tuttavia, “salvo che con
deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti
interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto
idrogeologico
” (art. 31, comma 5, DPR 380/2001). Secondo la
giurisprudenza, il legislatore ha attribuito al consiglio
comunale
un potere eccezionale di
ingerirsi nella gestione del procedimento sanzionatorio finalizzato
alla demolizione dei beni abusivi, per sottrarre alla demolizione
un bene in funzione della tutela di prevalenti interessi pubblici.
Stante la natura eccezionale della previsione
normativa, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (4) ha
evidenziato che deve fornirsi una interpretazione piuttosto
restrittiva circa la sussistenza in concreto dei presupposti che
legittimano la deliberazione consiliare, in particolare:

  1. non può trattarsi di un mero atto di indirizzo che deleghi
    all’ufficio l’accertamento dei presupposti concreti previsti dalla
    legge;
  2. deve trattarsi di una decisione non generica riferita ad un
    gruppo o categoria di beni abusivi, ma , ma deve dare conto
    delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di
    conservazione del singolo manufatto, specificamente
    individuato,
    motivando sulla esistenza di un interesse
    pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico
    violato
    ( non costituisce idonea motivazione il costo della
    demolizione, essendo necessario individuare un bisogno o interesse
    pubblico da soddisfare tramite l’utilizzo/destinazione del bene
    abusivo);
  3. il bene abusivo non deve contrastare con interessi urbanistici
    ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico; in presenza di
    vincoli, ovviamente non di inedificabilità assoluta, il parere
    dell’autorità preposta alla relativa tutela deve essere acquisito
    preventivamente.

La novella normativa si inserisce proprio su tale assetto
normativo, modificando in modo sostanziale con l’art. 1,
comma 1, lett. d)
del decreto in corso di pubblicazione il
richiamato comma 5 dell’art. 31.

TESTO VIGENTE

TESTO MODIFICATO DAL D.L. SALVA CASA

L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del
responsabile del competente ufficio comunale a spese dei
responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non
si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre
che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici,
ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico

L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del
responsabile del competente ufficio comunale a spese dei
responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non
si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre
che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici,
culturali, paesaggistici,
ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, previo
parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo
17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nei casi in cui l’opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di
rispetto dell’assetto idrogeologico, il Comune, previo parere delle
amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della
legge 7 agosto 1990, n. 241, può, altresì, provvedere
all’alienazione del bene e dell’area di sedime determinata ai sensi
del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo
12, comma 2 della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando
sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte
dell’acquirente delle opere abusive. È preclusa la partecipazione
del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione. Il
valore venale dell’immobile è determinato dall’agenzia del
territorio tenendo conto dei
costi per la
rimozione delle opere abusive

In pratica, il legislatore emergenziale, da un lato, inserisce
tra gli interessi da ponderare al fine di poter ritenere prevalente
quello al mantenimento del bene abusivo anche gli interessi
culturali e paesaggistici, in coerenza con il novellato testo
dell’art. 9 della Costituzione che ha rimarcato la specificità
dell’interesse ambientale (che ha acquisito una valenza
antropocentrica, nell’ottica della tutela della salute) rispetto ai
beni culturali e al paesaggio, così aggravando l’onere
motivazionale in capo al consiglio comunale nell’esercizio
dell’eccezionale potere in esame; dall’altro, codifica l’indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale in presenza di vincoli, il
parere deve essere richiesto preventivamente all’esercizio del
potere, richiamando il silenzio assenso orizzontale.

Tuttavia, la parte maggiormente innovativa della norma, è quella
che consente al consiglio comunale, in aggiunta alla facoltà di
destinare il bene a specifiche finalità pubblicistiche,
trasferendolo al patrimonio indisponibile del comune (5), anche di
poter “provvedere all’alienazione del bene e dell’area di
sedime condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva
rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive
”.

Ad una prima lettura la norma appare conforme alla
giurisprudenza costituzionale la quale, rimarcando la natura di
principio fondamentale in materia di governo del territorio
dell’obbligo di demolizione dell’immobile abusivo, ha dichiarato
l’incostituzionalità di una legge regionale che prevedeva la
possibilità di non demolire i beni abusivi acquisiti al patrimonio
comunale, destinandoli alla locazione o alla alienazione anche a
favore degli occupanti responsabili dell’abuso.

Con la novella, il legislatore esclude dal novero dei soggetti
che possono partecipare alle procedure di evidenza pubblica per
l’alienazione del bene e dell’area di sedime il responsabile
dell’abuso, e condiziona sospensivamente la vendita alla
demolizione del bene abusivo da parte dell’aggiudicatario
acquirente, rendendo oggetto della vendita esclusivamente l’area di
sedime e non già il bene abusivo, la cui effettiva demolizione
costituisce il presupposto per il perfezionamento della
fattispecie. Il legislatore, infatti, al fine di tutelare
l’interesse pubblico di cui è portatore l’ente locale proprietario
del bene abusivo ha previsto di subordinare l’efficacia
dell’alienazione alla demolizione da parte dell’acquirente del bene
abusivo edificato sull’area di sedime che costituisce il vero
oggetto della compravendita: gli effetti giuridici del contratto di
compravendita sono posticipati all’effettiva demolizione del bene
abusivo.

La natura dell’operazione negoziale finalizzata ad alienare solo
l’area di sedime emerge anche dall’ultima parte della norma in cui
è previsto che il valore venale dell’immobile è determinato
tenendo conto dei costi per la rimozione del bene
abusivo
”, che debbono essere scomputati dal prezzo di vendita,
in quanto se ne fa carico direttamente il privato acquirente. Il
rischio è che il già complesso procedimento di demolizione degli
immobili abusivi, nell’ambito del quale si moltiplicano le
posizioni giustiziabili e si annidano difficoltà e complessità
operative che ne inficiano l’efficienza (6), possa ulteriormente
avvitarsi su adempimenti burocratici che, anche a prescindere dalle
intenzioni degli operatori, favoriscano – a causa della povertà
della regulatory quality che insidia la rule of
law
– la corruzione oggettiva, cioè il fenomeno del
pervasive red tape, la burocrazia ingombrante le cui
decisioni risultano maggiormente esposte al rischio di
condizionamenti e pressioni, a tutto discapito dall’interesse
pubblico al ripristino della legalità urbanistica e della tutela
dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali.

Note

1 – È degno di attenzione quanto evidenziato dall’Adunanza
Plenaria, secondo la quale a seguito dell’acquisizione ipso iure
del bene abusivo non demolito al patrimonio comunale chi lo
possiede perde il titolo ed “è tenuto a corrispondere
all’amministrazione proprietaria un importo per la sua
disponibilità che avviene sine titulo”.

2 – È opportuno segnalare che l’art. 10 bis del decreto-legge n.
76 del 2020, convertito nella legge n. 120 del 2020 attribuisce al
Prefetto il compito di intervenire nel caso in cui il comune non
provveda a demolire il bene abusivo entro 180 giorni dall’avvio del
procedimento repressivo; si tratta di una norma che concentra in
capo al Prefetto il compito di curare le procedure di demolizione
in un’ottica di semplificazione e di effettività delle sanzioni, in
deroga alle competenze istituzionalmente devolute dagli artt. 27
ess del DPR 380/2001 ai comuni; tuttavia, la giurisprudenza
amministrativa ha fornito della nuova norma una interpretazione
costituzionalmente orientata, in coerenza con il principio di
sussidiarietà verticale, evidenziando che il potere del prefetto ha
natura meramente propulsivo-suppletiva, nel senso che lo spirare
del termine di 180 giorni non consuma il potere sanzionatorio in
capo al Comune che, invece, fintanto che l’Autorità statale non sia
intervenuta, è obbligato a portare avanti il procedimento
sanzionatorio (cfr. TAR Campania, Napoli, 11.12.2023, n.6836; TAR
Lazio, Roma, 1.8.2023, n.12981; TAR Campania, Salerno, 17.4.2023,
n.861). Secondo il Ministero dell’interno, che ha emanato una
apposita circolare il 16.2.2021, la novella legislativa può
applicarsi solo alle ordinanze di demolizione adottate dopo il
15.9.2020, data dell’ entrata in vigore della novella (il TAR
Campania con sentenza 6836/2023 cit. ha, però, annullato la
circolare ritenendo che la novella introduce “una disposizione
meramente attributiva di competenza che non tocca alcun aspetto
sanzionatorio perché interviene a valle dell’adozione della misura
ripristinatoria da parte del Comune”, non ponendosi quindi alcuna
questione di retroattività).

3 – La giurisprudenza più recente ha opportunamente chiarito che
gli atti di sgombero dell’immobile non sono espressione del potere
di autotutela esecutiva, in quanto tali esercitabili solo nei
confronti di beni del patrimonio indisponibile, ma rientrano nel
potere autoritativo di repressione dell’illecito edilizio in quanto
strumentali alla demolizione del bene (cfr. CdS, V, 9.2.2024,
n.1337; CGAS, 20.3.2020, n.194).

4 – Cfr. ex multis Cass. pen., III, 14.1.2022, n. 12529.

5 – A seguito dell’adozione di deliberazioni in tal senso,
occorre aggiornare l’inventario dei beni immobili e implementare lo
stato patrimoniale sulla base della stima relativa al valore del
bene sottratto alla demolizione e destinato a finalità
pubbliche.

6 – M. D’ALBERTI, Corruzione, Treccani, 2020, pp.100 e ss.,
sostiene che “la corruzione è una risposta razionale data dagli
individui in un determinato contesto e, quindi, è il risultato di
decisioni individuali supportate (o scoraggiate) dalle
caratteristiche dell’ordinamento”.

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