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A distanza di oltre quattro anni dalla pubblicazione del Codice della Crisi d’Impesa e dell’Insolvenza (CCII – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), dal 5 gennaio è possibile presentare la domanda di iscrizione all’Albo dei gestori della crisi d’impresa tenuto dal Ministero della Giustizia e previsto dal Titolo X, Capo II del CCII.

Dal 1 aprile, infatti, i tribunali dovranno individuare i professionisti cui affidare gli incarichi di curatore, commissario giudiziale o liquidatore nelle procedure previste dal CCII attingendo esclusivamente da tale elenco.

La creazione di un albo unico nazionale dei gestori della crisi d’impresa, è frutto della volontà del legislatore di garantire che i soggetti chiamati ricoprire incarichi di rilevante importanza socioeconomica siano in possesso di una comprovata esperienza e abbiano ricevuto una formazione specifica. Un simile progetto, peraltro, si inserisce nel quadro della trasformazione che da diversi anni stanno vivendo le professioni forensi, dove sta emergendo e assumendo una sempre maggiore importanza la figura del professionista specializzato rispetto quello generalista più tradizionale.

Peraltro, il nuovo elenco gestito direttamente dal Ministero della Giustizia dovrebbe limitare la discrezionalità di scelta dei singoli tribunali, che quindi potranno affidarsi esclusivamente a figure di comprovata capacità e preventivamente approvate a livello statale.

Ora, prima di passare ad affrontare gli aspetti che destano le maggiori perplessità, può essere utile riassumere brevemente quelli che sono i requisiti richiesti per l’iscrizione all’albo.

Il legislatore ha previsto che il primo popolamento dovrebbe avvenire attingendo tra i professionisti già esperti in materia, ossia coloro che abbiano ricevuto almeno due incarichi (inizialmente erano quattro, poi ridotti) nei quattro anni precedenti all’entrata in vigore dell’articolo 356 CCII (quindi nel periodo dal 17 marzo 2015 al 16 marzo 2019). In mancanza di ciò, è previsto che possano chiedere l’iscrizione avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro (anche sotto forma di studio professionale) e coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative ed abbiano assolto precisi obblighi di formazione, differenziati in base alla categoria di appartenenza.

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Per avvocati, dottori commercialisti e consulenti del lavoro è richiesta la frequentazione di un corso di perfezionamento della durata di almeno quaranta ore, erogato da università pubbliche o private, oppure, da enti pubblici o privati in convenzione con università. Per quanto invece riguarda coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, questi dovranno frequentare un corso di perfezionamento della durata di almeno duecento ore.

Oltre alla frequentazione del corso, è previsto un ulteriore obbligo formativo: lo svolgimento di un tirocinio della durata non inferiore ai sei mesi presso curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti previsti dalla legge fallimentare; presso delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari, oppure, professionisti chiamati a svolgere le funzioni di OCC.

Mentre inizialmente si riteneva che l’obbligo del tirocinio fosse previsto solo per coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, la circolare pubblicata dal Ministero della Giustizia il 19 gennaio 2023 ha fornito una diversa interpretazione della norma. È stato infatti chiarito che il tirocinio sia obbligatorio per tutte le categorie legittimate ad iscriversi all’albo, quindi anche per avvocati, dottori commercialisti e consulenti del lavoro.

Fatta questa premessa, è possibile passare agli aspetti di questo sistema che hanno destato le maggiori perplessità nei commentatori, ossia l’arco temporale entro il quale il professionista deve aver ricevuto i due incarichi e l’obbligo di tirocinio.

Come è stato recentemente chiarito nella circolare del Ministero, gli incarichi devono essere stati inderogabilmente conferiti nel quadriennio dal 17 marzo 2015 al 16 marzo 2019. In questo modo vengono di fatto escluse le nomine ricevute nel quadriennio precedente alla data di presentazione della domanda di iscrizione. Sebbene il legislatore dichiari che tale scelta sia frutto della volontà del Ministero di favorire i professionisti interessati all’iscrizione, è palese che così non sia.

Innanzitutto, il Ministero della Giustizia non ha considerato che dal 16 marzo 2019, nonostante i continui rinvii dell’entrata in vigore del CCII, le sezioni fallimentari dei tribunali hanno continuato a lavorare regolarmente sulla base della legge fallimentare, assegnando incarichi a numerosi professionisti. Paradossalmente, in questo modo risultano valide per l’iscrizione nomine ricevute anche oltre otto anni prima rispetto all’entrata in funzione dell’albo, ma non quelle più recenti.

Peraltro, sorge spontanea un’ulteriore considerazione. Mentre alcuni di coloro che hanno ricevuto i due incarichi nel 2015 potrebbero essersi ormai ritirati (visto il tempo trascorso), ad altri, che abbiano iniziato ad occuparsi di crisi d’impresa in epoca recente, è preclusa la possibilità di ottenere l’iscrizione nei modi previsti per il primo popolamento dell’albo, nonostante nel frattempo abbiano ricevuto almeno due nomine. Per potersi iscrivere all’albo, questi professionisti sono infatti costretti a frequentare un corso di perfezionamento (di cui già si è detto) e svolgere un tirocinio secondo le modalità previste all’articolo 4, comma 5, lettera c) del decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202.

Come anticipato, l’obbligo di questo tirocinio è un altro aspetto che desta diverse perplessità.

Poiché in passato non ne era previsto alcun obbligo analogo, come già detto, vi sono stati diversi professionisti che nell’ultimo quadriennio hanno ricevuto e svolto incarichi senza averlo sostenuto. Nonostante l’esperienza maturata, questi, con l’entrata in funzione dell’albo, vengono di fatto parificati a figure inesperte e si vedono assoggettare ai medesimi obblighi formativi il cui mancato rispetto preclude la possibilità di ricevere nuovi incarichi e, quindi, di proseguire la propria attività lavorativa.

Sostanzialmente, così per come è impostata, la norma parifica un professionista, che già opera nel campo della crisi d’impresa e che ha già nomine alle spalle, a soggetti completamente acerbi, imponendogli di “ritornare al via” e svolgere il periodo di tirocinio (salvo che non intenda rendere una falsa autocertificazione, una possibilità da non prendere nemmeno in considerazione). È evidente che questi abbia maturato un’esperienza certamente non inferiore rispetto a quella acquisibile in soli sei mesi di affiancamento.

Il legislatore avrebbe potuto ovviare al problema molto agevolmente, prevedendo che le nomine ricevute, anche se non sufficienti di per sé per ottenere l’iscrizione all’albo, fossero perlomeno idonee a sostituire il tirocinio di sei mesi. Così facendo, per questi professionisti sarebbe stata sufficiente la frequenza di un corso di perfezionamento di quaranta ore (senz’altro utile per trattare ed approfondire le novità introdotte dal CCII). La razionalità di una simile soluzione è evidente: un tirocinio risulta utile per coloro che, privi di una precedente esperienza, devono acquisire le basi e le competenze necessarie per svolgere gli incarichi, ma è superfluo per coloro che quell’attività la svolgono già da tempo.

Chiaramente, l’eventualità appena illustrata riguarda esclusivamente avvocati e dottori commercialisti, ossia gli unici che sino all’entrata in funzione del nuovo albo possono e hanno potuto ricoprire gli incarichi di curatore fallimentare e commissario giudiziale. Solo dal 1 aprile i consulenti del lavoro iscritti potranno infatti ricevere i loro primi incarichi. È quindi impossibile che per loro si possa presentare una situazione analoga a quella delle altre due categorie professionali.

Concludendo, è opportuna un’ultima considerazione. Il CCII e il decreto del Ministro della giustizia 202/2014 non forniscono alcuna indicazione sul periodo di svolgimento del tirocinio, se possa essere precedente all’entrata in vigore dell’articolo 356 oppure se debba essere successivo.

Il Ministero della Giustizia è intervenuto mediante le FAQ pubblicate sul sito proprio sito internet (da ultimo aggiornate il 16 marzo), chiarendo le modalità di svolgimento del tirocinio e le competenze che l’interessato deve aver acquisito. Dal punto di vista temporale, invece il Ministero si è limitato ad indicare la durata di sei mesi (anche non continuativi e presso soggetti diversi) e che debba essersi concluso prima della presentazione della domanda di iscrizione.

Il tenore della norma, quindi, legittima numerosi professionisti ad interpretarla nel modo loro più favorevole per autocertificare il possesso del requisito. In questo modo avvocati e commercialisti potrebbero persino far risalire lo svolgimento del tirocinio agli anni della pratica prima del rispettivo esame di abilitazione anche se ormai conclusa da anni.

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