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Il proprietario del veicolo ha il dovere di conoscere l’identità dei soggetti ai quali sia affidata la conduzione del mezzo, in difetto risponde della sanzione di cui all’art. 126 bis c. 2 Codice della Strada. Infatti, grava sul titolare del veicolo un dovere di controllo e memoria, che viene meno solo in caso di giustificato motivo, come la cessazione della detenzione del mezzo o la presenza di situazioni imprevedibili ed incoercibili, che gli abbiano impedito di sapere chi fosse alla guida, nonostante l’adozione di misure idonee, conformi all’ordinaria diligenza, volte a garantire la concreta osservanza del dovere di conoscere e di ricordare l’identità del conducente.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza del 29 novembre 2018 n. 30939.

Ad una società, veniva contestato un eccesso di velocità (art. 142 c. 7 C.d.S.) in relazione all’auto aziendale. Il legale rappresentante della s.r.l., inoltre, veniva sanzionato ai sensi dell’art. 126 bis c. 2 Codice della Strada per aver omesso di fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della violazione. Il proprietario proponeva opposizione all’ordinanza prefettizia, deducendo di aver inviato alla Polizia Stradale una comunicazione in cui asseriva di aver impiegato l’auto, durante le vacanze estive, unitamente alla moglie e di non essere in grado di stabilire chi dei due fosse alla guida al momento della violazione del limite di velocità. Il tribunale considerava tale indicazione sufficiente ad escludere l’omessa comunicazione.

Il Ministero dell’Interno ricorre per la cassazione della sentenza, per violazione e falsa applicazione dell’art. 126 bis c. 2 C.d.S., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per la controversia.

Prima di passare alla disamina della decisione, analizziamo brevemente l’illecito amministrativo oggetto di contestazione. 

L’art. 126 bis c. 2 C.d.S. dispone che il proprietario del veicolo (ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196) debba fornire all’organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione. Lo stesso dicasi in caso di persona giuridica, come nella fattispecie oggetto di scrutinio. Il proprietario del veicolo che ometta, senza giustificato e documentato motivo, di fornire i dati del conducente è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 284 a euro 1.133.

La ratio della norma è da ravvisarsi nella circostanza per cui il proprietario del mezzo debba conoscere l’identità dei soggetti a cui ne affida la conduzione, in difetto è responsabile della circolazione dello stesso:

  • verso la pubblica amministrazione, nei riguardi della quale è obbligato al versamento delle sanzioni;
  • verso i terzi, nei confronti dei quali risponde a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilanza.

L’attuale versione della norma deriva dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 164, lett. b), convertito in legge con la L. n. 286 del 2006. La suddetta modifica è figlia dell’intervento della Corte Costituzionale (Cost. 244/2006) che aveva evocato la possibilità di attribuire rilievo esimente alla condotta di colui che, “presentandosi o scrivendo”, avesse rappresentato l’esistenza di motivi idonei a giustificare l’omessa comunicazione dell’identità del conducente»; onde l’inserimento del sintagma “senza giustificato e documentato motivo” all’interno della norma. Successivamente la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta (Cost. 165/2008), ma in relazione alla versione originaria dell’art. 126 bis C.d.S., anteriore all’emenda del 2006.

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La posizione della giurisprudenza sull’interpretazione della norma de qua è costante sia anteriormente che posteriormente all’intervento della Corte Costituzionale. Recentemente (Cass. ord. 9555/2018), si è ribadito che, in tema di sanzione pecuniaria per omessa comunicazione ex art. 126 bis C.d.S. c. 2, sia necessario sceverare la condotta del proprietario che non ottemperi all’invito a comunicare i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, da quella del proprietario che, al contrario, abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo adducendo giustificazione. Grava sul proprietario il dovere di dimostrare quali misure abbia adottato per conservare la memoria di chi abbia guidato il veicolo. Le suddette misure non sono indicate dal legislatore, ma vanno valutate a seconda della fattispecie concreta. Pertanto, le modalità adottate nel caso di gestione di un parco macchine aziendale sono diverse da quelle esigibili nella gestione di un veicolo ad uso familiare. Spetta al giudice valutare se il proprietario abbia assunto ogni misura idonea, secondo l’ordinaria diligenza, a ricordare chi guidasse la sua auto. Il suddetto giudizio, pur rappresentando una valutazione di fatto, può essere soggetto al sindacato di legittimità.

Vediamo quando.

Ut supra ricordato, l’art. 126 bis c. 2 C.d.S. prevede un illecito amministrativo nell’omessa comunicazione senza giustificato e documentato motivo:

1) per motivo documentato si intende, in senso estensivo, “provato”, non necessariamente con prove documentali, ma anche mediante l’acquisizione di prove costituende. Il suddetto accertamento è riservato al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.;

2) per quanto riguarda il motivo giustificato, anch’esso è rimesso al giudice di merito, ma limitatamente al giudizio sul fatto storico ovvero sulla ricostruzione degli accadimenti in cui si sostanzia la vicenda. Conclusa la valutazione sul fatto, che rientra nel merito, il giudizio, operato sullo stesso, al fine di considerarlo idoneo a giustificare la dichiarazione negativa, è un giudizio di diritto e, come tale, sindacabile in sede di legittimità.

In particolare, la Corte precisa come il sintagma “giustificato motivo” rappresenti una nozione elastica e rientri nelle cosiddette clausole generali. «Nell’esprimere il giudizio di valore necessario ad integrare il parametro generale contenuto in una norma elastica, il giudice compie, dunque, un’attività di interpretazione della norma, dando concretezza a quella parte mobile della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori» (Cass. S.U. 2572/2012). Al lume di quanto sopra, la Suprema Corte ritiene che la valutazione operata dal giudice di merito sulla qualificazione delle ragioni esposte dal proprietario del veicolo come giustificato motivo di non conoscenza dell’identità del conducente sia censurabile in sede di legittimità, con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto il profilo della sua coerenza con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi esistenti nella realtà sociale, che concorrono a creare il diritto vivente (Cass. 3645/1999).

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, il Tribunale non ha considerato «tra gli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, il dovere del proprietario del veicolo di conoscere l’identità dei soggetti ai quali venga affidata la relativa conduzione». Visto il dovere di conoscenza incombente sul titolare del mezzo, l’assenza di cognizione dell’identità del conducente è ammissibile solo:

a) in caso di cessazione della detenzione del veicolo da parte del proprietario; si pensi al furto del mezzo o ancora all’ipotesi del comodato nella circostanza in cui il proprietario dimostri di avere ceduto l’auto a terzi, prima della commissione dell’infrazione, con contratto registrato e con l’obbligo, in capo al comodatario, di comunicare il nominativo del conducente in caso di contestazione di un’infrazione (Cass. 22042/2009);

b) in presenza di situazioni imprevedibili ed incoercibili che impediscano al proprietario di un veicolo di sapere chi lo abbia guidato in un determinato momento, nonostante egli dimostri di aver adottato tutte le misure idonee ed esigibili, secondo l’ordinaria diligenza, a garantire la concreta osservanza del dovere di conoscere e di ricordare l’identità di chi guidi il veicolo (ad esempio, realizzando un registro scritto o conservando delle annotazioni).

Per le ragioni sopra esposte, la Corte ritiene fondata la censura sollevata dal Ministero dell’Interno, cassa la sentenza gravata e rinvia al Tribunale che, nella decisione, dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

«ai sensi dell’art. 126 bis C.d.S., comma 2 […], ai fini dell’esonero del proprietario di un veicolo dalla responsabilità per la mancata comunicazione dei dati personali e della patente del soggetto che guidava il veicolo al momento del compimento di un’infrazione, possono rientrare nella nozione normativa di “giustificato motivo” soltanto il caso di cessazione della detenzione del veicolo da parte del proprietario o la situazione imprevedibile ed incoercibile che impedisca al proprietario di un veicolo di sapere chi lo abbia guidato in un determinato momento, nonostante che egli abbia (e dimostrati in giudizio di avere) adottato misure idonee, esigibili secondo criteri di ordinaria diligenza, a garantire la concreta osservanza del dovere di conoscere e di ricordare nel tempo l’identità di chi si avvicendi alla guida del veicolo».

(Altalex, 15 gennaio 2019. Nota di Marcella Ferrari)

 

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