Circa quindici anni fa uno scrittore e professore, Antonio Tabucchi, fu querelato dall’allora presidente del Senato Renato Schifani per un articolo pubblicato sull’”Unità”. La richiesta di risarcimento ammontava a un milione e trecentomila euro. La Cassazione si pronunciò dopo la morte di Tabucchi e arrivò all’assoluzione: anche perché – si legge nella sentenza – all’uomo pubblico e di potere «si richiede un alto tasso di resistenza e di tolleranza alla critica». All’epoca si mobilitarono per l’autore di Sostiene Pereira colleghi illustri come Magris, Camilleri, Pamuk, Roth e firmarono un appello pubblicato da “Le Monde”: «Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indipendenti, indisciplinati, che osino, che provochino, che disturbino». Nell’articolo “imputato” Tabucchi alludeva alle frequentazioni mafiose di Schifani; e irrideva la «gagliarda difesa della classe politica italiana», rivendicando la libertà di critica alle «istituzioni “prestigiose”… che in realtà coincidono con decine di inquisiti in parlamento…». E aggiungeva: «Pensare non è ancora un reato».
La Cassazione all’epoca valutò nella sentenza la notorietà ed il prestigio del querelato e difese il diritto di critica politica «che ha per sua natura carattere congetturale e non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica».
Un precedente inquietante
La sospensione di Christian Raimo dall’insegnamento crea, come è stato osservato, un precedente inquietante. Dice l’articolo 495 del DL n. 297/1994 che la sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese a sei mesi è inflitta: «a) nei casi previsti dall’articolo 494 qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità; b) per uso dell’impiego ai fini di interesse personale; c) per atti in violazione dei propri doveri che pregiudichino il regolare funzionamento della scuola e per concorso negli stessi atti; d) per abuso di autorità». L’articolo 494 indica «atti non conformi alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerenti alla funzione o per gravi negligenze in servizio». Atti non conformi. Doveri. Quali? Gravi negligenze. Raimo ha espresso in modo netto, fuori dal contesto scolastico, opinioni sulle posizioni ideologiche del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. Opinioni espresse in modo tranchant e sgradevole? È legittimo pensarlo, ma…
Sono andato a ripescare un confronto polemico fra Eco e Tabucchi risalente al ’97. I due ragionavano – come ogni intellettuale in ogni epoca – sulla funzione dell’intellettuale. Eco: «Quando la casa brucia, l’intellettuale può solo cercare di comportarsi da persona normale e di buon senso, come tutti», e in sostanza – dice Eco – dovrebbe chiamare i pompieri. Ma Tabucchi lo incalza: e se ad esempio i pompieri fossero in sciopero? «La letteratura è sostanzialmente questo: una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, o per meglio dire dal pensiero al potere, qualsiasi esso sia. È il dubbio che ciò che l’istituzione vigente vuole sia così, non sia esattamente così. Il dubbio, come la letteratura, non è monoteista, è politeista».
È legittimo pensare che Raimo si sia espresso in modo eccessivo? Questa è una domanda. La risposta è sì. Ma la domanda più importante è la seguente: è legittimo che Raimo – insegnante e intellettuale, scrittore – possa indicare nella ideologia del ministro cialtronaggine, recrudescenza dell’umiliazione, classismo, sessismo? Se decidiamo che non è legittimo, se su questa base gli decurtiamo, umiliandolo, lo stipendio di insegnante; se il potere, ovvero l’istituzione si comporta nei suoi confronti in modo intimidatorio, fingendo di non cogliere la sproporzione fra il parere del libero cittadino-insegnante-intellettuale e la posizione soverchiante di un ministro/ministero con i suoi repellenti asfittici ottusi (si può dire o no?) apparati burocratici già di per sé intollerabili e in questo caso in salsa Minculpop, insomma, se tutto questo accade e lo lasciamo accadere, abbiamo infranto un patto civile. Abbiamo stabilito che pensare è un reato; che criticare – anche in modo aspro – qualcuno al potere sia perseguibile. E non è questione di gridare alla dittatura che non c’è: è questione di vedere quali spazi di libertà che diamo per acquisiti vengono messi sotto tutela, ristretti, minacciati.
Due ulteriori considerazioni: Raimo, in quanto docente, dovrebbe spogliarsi della sua identità di uomo pubblico, di intellettuale e di scrittore? E d’altra parte un docente non è forse, di per sé, una figura intellettuale? Al di là del fatto che le sue opinioni additate come inaccettabili per il suo ruolo le ha espresse fuori da un’aula, c’è molto da discutere sulla inscalfibile e diffusissima convinzione che a scuola NON si debba parlare di politica. Una delle idee più penose, più colpevoli, più vigliacche: tanto più in un paese che registra un buon 40% di astenuti alle elezioni politiche. Posso capire le prudenze nella scuola primaria e secondaria di primo grado, ma di lì in poi non è forse il caso di parlare con gli studenti e con le studentesse come cittadini e cittadine che si stanno formando a esserlo pienamente? Nel settembre 2022, poco dopo le elezioni politiche, i ragazzi e le ragazze del liceo Virgilio di Roma mi chiesero di dialogare con loro sull’esito della consultazione. Ci radunammo pacificamente in una piazzetta non lontana dalla scuola. Molti dei partecipanti furono schedati dai carabinieri. Con il benestare dei commentatori reazionari: “A scuola non si fa politica!”.
L’altro punto riguarda l’intelligenza con cui chi è al potere interpreta il proprio ruolo. Giorgia Meloni ha infine ritirato la querela contro Luciano Canfora. Schifani non ritirò quella contro Tabucchi nemmeno dopo la sua morte, e ricadde sugli eredi. Valditara si lava le mani pilatescamente, lasciando la responsabilità di questa sanzione disciplinare ai funzionari del ministero che presiede. Mettiamo pure che Raimo abbia offeso il ministro. Non è opportuno? Non è elegante? Ma da quando in qua criticare un ministro implica una sanzione disciplinare? I ministri, per fortuna, passano. L’istituzione resta. Dunque dobbiamo considerare i ministri dei regnanti indiscutibili, che occorre limitarsi a ossequiare? Non lo sapevo, lo imparo dalla vicenda Raimo. Vicenda sulla quale è bene interrogarsi anche al di là del diretto interessato.
Sul quale mi limito a dire un paio di cose. La prima: fra tutti gli scrittori e le scrittrici che gli stanno manifestando giustamente sostegno, non ne conosco nessuno o quasi nessuno che ha speso come lui energie in questi anni anzi decenni impegnandosi in prima persona, traducendo la militanza intellettuale in presenza sul territorio, in partecipazione concreta alla vita delle comunità. Da attivista, da assessore di un municipio romano, da organizzatore di eventi culturali mai basati sull’effetto-vetrina o sulla dimensione mondana, ma su una volontà effettiva di incidere e di coinvolgere. È stato anche ricordato il suo impegno quotidiano e articolatissimo sulle frontiere più aggiornate della pedagogia, su una scuola che sia pienamente e compiutamente democratica e inclusiva, ecc. Ma ciò che mi ha sempre colpito di lui, anche quando non siamo stati d’accordo, è la generosità e la trasparenza, l’intensità del suo esserci.
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