L’acqua è pericolosa, i gondolieri sommozzatori usano mute protettive per pulire la città: «Il dolo in molti articoli che ritroviamo c’è di sicuro»
Prevedibile: ti sporgi in avanti, ammaliato dai bagliori di Palazzo Ducale, e poi pluf. Addio macchina fotografica. Scontato: il copertone appeso alla barca trasporti, all’ennesimo ostacolo che graffia la cima, non può che rotolare giù nelle profondità del canale. Eccentrico: la scultura del maestro vetraio di Murano, forse mal appoggiata, forse poco piaciuta. Qualsiasi sia la tipologia, il rifiuto pesante caduto nei canali di Venezia va ritrovato e restituito alla corretta discarica e per farlo la città più famosa al mondo ha un’équipe di volontari altrettanto unica, che dal 2019 dà spettacolo e si dà anche un gran da fare, facendo impazzire i fan ad ogni uscita.
23mila chili di spazzatura
È la squadra dei Gondolieri sommozzatori volontari. I gondolieri con la passione delle immersioni attualmente sono dodici. Hanno già raccattato dagli anfratti delle acque veneziane più di 23mila chili di spazzatura, sondato 25 zone di Venezia con più di 240 ore di immersione, alcune proprio ieri mattina sul fondo dei rii di Santa Caterina, Santi Apostoli, Ca’ Widmann e Santa Marina.E i tesori ritrovati appartengono alle tipologie più variegate. A Murano lo scorso aprile, sono stati recuperati un carrello da trasporto, un mobile da bagno completo di lavandino, due vecchie cassette di scarico wc, una caldaia, un motore marino 25 cavalli intero. Persino una scala di ferro, due bombole di acciaio per fare i cocktail alla spina, diversi piatti in ceramica e circa 30 pneumatici.
Il teschio di mucca
Quest’ultimo sembra un paradosso, eppure è vero. A Venezia, giù tra le briccole nelle profondità della città d’acqua, quel che si trova più di tutto sono montagne di vecchi copertoni d’auto. «Per forza, a furia di sbattere…» dice Loris Rossi, segretario dell’associazione, «le barche trasportatrici di merci li usano appesi ai bordi per non rovinare lo scafo, peccato che a suon di ricevere colpi tra rive ed imbarcaderi la cima si consumi e via, uno alla volta, cadono tutti giù». Venezianissimo? «Super» risponde lui. Loris è uno dei primi sommozzatori unitisi alla causa lanciata da Stefano Vio, gondoliere con la passione delle profondità, che inabissatosi nelle acque del Mar Rosso ebbe la folgorazione: «Se qui troviamo relitti di plastica presenti da decenni, cosa ci sarà sul fondo dei canali di Venezia?». Ed in effetti la profezia non si è smentita. «Il veneziano maleducato è raro, ma esiste da sempre. Una volta, trent’anni fa, c’era chi era uso buttare in canale quel che non serviva più. Il dolo in molti articoli che ritroviamo c’è di sicuro» continua Loris. Oggi il «pescato» è composto più che altro da vecchi cimeli o marchingegni trascinati in acqua. «Abbiamo tirato su di tutto, eliche, finestre, radiatori. Al mercato di Rialto, unica immersione in Canal Grande, trovammo in famoso teschio di mucca».
I contributi
Curiosa la fila di fustini di birra, pieni. O la macchina fotografica da settemila euro: «Quello che l’ha persa in acqua ha pianto, son sicuro». Gli eroi delle gondole oggi hanno anche gli sponsor, oltre ai mezzi messi a disposizione da Comune e Veritas. «I contributi ci servono a pagare le nostre mute, che sono molto costose» spiega Loris. L’acqua di Venezia nutre gli occhi di bellezza, pur che stia lontana dalla pelle dell’uomo, pena pensanti rischi per la salute: «Così utilizziamo mute a tenuta stagna “Viking” utilizzate dai vigili del fuoco o sulle piattaforme petrolifere». Un’armatura impenetrabile per combattenti dal grande cuore. Che batte tutto per Venezia.
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