False fatture nel web marketing: coinvolte 27 persone e 28 società, molte locali
Il meccanismo sarebbe stato quello classico della false fatture: varie «cartiere», cioè società inesistenti create ad hoc, producevano i documenti fasulli, dietro cui non si celava alcun tipo di servizio, i pagamenti finivano su conti correnti all’estero e poi toccava a un cittadino britannico, in gergo il cosiddetto «spallone», riportare il denaro contante sul territorio nazionale, ovviamente non prima di essersi trattenuto la sua quota per il «disturbo». In questo modo, secondo la procura di Venezia e la Guardia di Finanza, un gruppo di almeno 14 persone – a cui è contestata l’associazione per delinquere – avrebbe sottratto al fisco oltre 10 milioni di euro, cifra che giovedì i pm Daniela Moroni e Roberto Terzo hanno voluto «congelare» con un sequestro d’urgenza eseguito dai finanzieri del secondo nucleo operativo metropolitano di Venezia. Tra i principali indagati c’è anche Mirko Mora, figlio del famoso ex manager delle star Lele.
Il sistema di società
Perché il settore messo nel mirino dalle Fiamme Gialle è stato proprio quello della pubblicità e del web marketing, che ruotava attorno a tre società: la Mediastar di Mora, la Medialine che ha sede a Mira e la Luxury Group. Gli inquirenti hanno ricostruito dal 2015 al 2022 oltre 64 milioni di euro di fatture false e hanno messo nel mirino 27 persone e 28 aziende, 9 delle quali all’estero. Tra quelli che per la procura sarebbe stati i promotori della maxi-frode, ci sono anche Enrico Baiocco, ai vertici di Mediastar Commerciale e Mediastar Corporate, oltre che amministratore di fatto di Medialine, e Massimo Baiocco, che sarebbe stato alla guida di varie «cartiere», soprattutto le più utilizzate; chiudono il quadro Martino Favaretto e il commercialista mestrino Roberto Biancato, anche loro con ruoli nelle due società. Tra gli indagati anche un secondo commercialista veneziano, accusato di aver firmato le dichiarazioni dei redditi con la consapevolezza che fossero fraudolente.
L’inizio dell’inchiesta
L’inchiesta è molto datata, perché le prime fatture contestate risalgono al 2015. A un certo punto la procura ha però voluto mettere un freno alle loro attività, quanto meno ponendo sotto sequestro i beni che nell’ipotesi dell’accusa sarebbero stati sottratti al fisco: per i pm c’era il rischio che venissero dirottati altrove, rendendoli non più recuperabili. Un’esigenza cautelare che ora dovrà essere però vagliata dal gip Claudia Ardita, a cui è arrivata la richiesta di convalida del sequestro. L’inizio dell’indagine sarebbe nato da un’altra procura che poi ha girato gli atti a quella lagunare in quanto le società che beneficiavano delle false fatture erano in buona parte veneziane: ma tutte, sia quelle locali, che quelle nazionali, che le estere sarebbero state ricollegabili alla stessa regia, quella di Mora e dei Baiocco in particolare.
Le perquisizioni
Tutto partiva dall’emissione delle fatture da parte delle cartiere, per beni e servizi mai prodotti, con importi che le capofila veneziane pagavano attraverso bonifici su conti correnti intestati a società in paesi dell’Est Europa e in Austria, costituite ad hoc e legate al sistema di evasione delle tasse e spartizione dei guadagni illeciti. Giovedì i militari sono andati a perquisire i locali e hanno sequestrato d’urgenza soldi, immobili e macchine, per oltre 10 milioni di euro, anche nelle province di Padova, Milano, Roma e Bolzano.
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