Persi 134 miliardi per la fuga all’estero negli ultimi 13 anni: oltre 550.000 giovani italiani hanno lasciato il Paese, di cui circa la metà laureati.
Al netto di chi è rientrato, il saldo netto di espatri è di 377.000 persone, equivalente a una città come Firenze composta solo da under 34. Il costo in termini di capitale umano perso è stimato in 134 miliardi di euro, un dato che sottostima il fenomeno, considerando che molti trasferiti tardano a cambiare residenza.
La fotografia di quanto sta accadendo può essere così sintetizzata: per ogni giovane che sceglie l’Italia come destinazione, otto italiani partono per l’estero. L’Italia si conferma ultima in Europa per capacità di attrarre giovani talenti: accoglie appena il 6% degli europei, rispetto al 34% della Svizzera e al 32% della Spagna. Il rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, presentato oggi al Cnel dalla Fondazione Nord Est, rivela un quadro allarmante: un’emigrazione crescente e qualificata, con la maggioranza dei partenti laureati o diplomati e provenienti in gran parte dalle Regioni del Nord.
Questa emorragia coincide con un contesto drammatico: l’inverno demografico, la perdita di competitività e l’assenza di politiche incisive per trattenere i talenti. Nonostante i ripetuti appelli, come quello recente del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sull’importanza di investire sui giovani, la situazione peggiora.
Le criticità nella legge di bilancio
Il fenomeno della “fuga dei cervelli” è ripreso con forza dopo la pandemia, ma le misure adottate appaiono inefficaci. In particolare, la legge di bilancio elimina l’indennità di disoccupazione per i rimpatriati, un sostegno che incentivava circa 9.000 persone l’anno a tornare. Un grave errore per il Governo di ignorare il problema, contribuendo all’erosione del capitale umano e culturale del Paese.
I numeri della crisi
L’emigrazione giovanile, che in passato colpiva soprattutto il Sud, oggi riguarda anche le regioni più ricche del Nord. Tra i giovani emigrati settentrionali, il 48% è laureato, un dato in crescita rispetto agli anni precedenti. Secondo il rapporto della Fondazione Nord Est, solo il 16% degli espatriati valuta un possibile rientro, e quasi esclusivamente per motivi familiari. Perché tornare? I giovani dichiarano di avere all’estero maggiori opportunità lavorative (oltre il 90%), migliori prospettive personali (80%) e un salario più elevato.
Le priorità mancate: salari e welfare
Il gap retributivo tra l’Italia e gli altri Paesi europei per le posizioni qualificate è significativo. “Serve un piano strategico per aumentare i salari e migliorare la qualità della vita”, sottolinea Torelli. Tra le principali motivazioni che spingono i giovani a lasciare il Paese emergono il desiderio di una vita più dignitosa, un welfare più efficiente e migliori servizi pubblici.
Una sfida per il futuro
Chi ha lasciato l’Italia si dichiara più soddisfatto e ottimista rispetto ai giovani rimasti: l’80% degli espatriati è occupato (contro il 64% dei giovani residenti nel Nord Italia) e il tasso di disoccupazione tra i primi è del 4,2% rispetto al 12,5% tra chi è rimasto.
Davanti a un’Italia che si spopola e perde competitività, la nuova legge di bilancio, su cui pesano oltre 4.500 emendamenti, sembra ignorare i segnali di questa crisi. È urgente una svolta che affronti le sfide del declino demografico, del capitale umano e delle disuguaglianze territoriali. Investire sui giovani non è solo una necessità: è una questione di sopravvivenza per il Paese.
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